Pensieri e parole: quel gran genio di Mogol

MANTOVA Conversare con Giulio Rapetti Mogol è un privilegio e un arricchimento. A 83 anni compiuti, l’uomo si mantiene lucido come pochi. Le sue considerazioni, espresse con quell’apparente disincanto che lo contraddistingue, vanno accolte col rispetto che si deve a chi ha scritto la storia della musica italiana, nelle vesti di autore (guai a chiamarlo paroliere: il Maestro non transige) di centinaia di testi ai confini con la poesia. L’occasione per incontrarlo è lo spettacolo che si svolgerà al teatro Bibiena il 29 settembre, e di cui la  Voce  aveva dato l’annuncio più di un mese fa in anteprima: un tributo a Lucio Battisti, con ospiti, canzoni e tanti aneddoti snocciolati dallo stesso Mogol.

Maestro, innanzitutto benvenuto a Mantova…

«La ringrazio. È una città bellissima, ricca di storia e bellezza, con questo lago meraviglioso che ti conquista. Mio figlio Francesco in gioventù ha militato nella Primavera del Mantova come portiere: un motivo in più per amare questo posto».

Che ricordo ha mantenuto di Lucio Battisti a 21 anni dalla sua scomparsa?

«Lucio era un grande compositore. Uno curioso, che studiava molto, ascoltava tanti artisti nazionali e internazionali, di svariati generi. Questo lo ha portato a crearsi una vasta cultura musicale, che poi lui ha personalizzato secondo i suoi gusti e il suo talento. Ma l’aspetto didattico, conoscitivo è stato fondamentale, come dovrebbe esserlo per tutti i giovani che vogliono fare musica. È questo che insegno ai ragazzi che si iscrivono al Cet (la sua scuola di musica sulle colline umbre,  ndr): la musica non è solo istinto, è anche studio e applicazione».

Le piace la musica che sente oggi?

«La trovo, come dire, “di nicchia”. Vede, oggi c’è la tendenza a scrivere con un linguaggio esclusivamente rivolto ai giovani. Con termini ed espressioni che solo una parte del pubblico può comprendere».

Questo cosa comporta?

«Che non si produce più musica popolare. E per “popolare” intendo quella musica che ha attraversato le generazioni ed è amata ancora oggi, come 30-40-50 anni fa».

Come quella di Lucio Battisti?

«Esattamente».

A proposito: ci sceglie un brano, nella vostra sterminata collezione di capolavori, al quale è particolarmente affezionato?

«Ce n’è uno che parla del desiderio di aiutare il prossimo, elevandoci oltre le nostre possibilità. Un desiderio al tempo stesso irrefrenabile ma difficile da realizzare. Il brano si chiama  Anche per te  e lo trovo ancora oggi bellissimo».

Lo spettacolo del 29 settembre al Bibiena, invece, richiama un’altra perla del vostro repertorio…

«Sì,  29 settembre  fu la terza canzone che io e Lucio scrivemmo insieme, e la prima ad avere un grande successo grazie all’Equipe 84».

Narrava di un tradimento, tema non proprio comune nelle canzoni dell’epoca…

«No, non esageriamo (sorride,  ndr ). Più che un tradimento era… un’evasione. Un’innocente evasione».

Ultimamente in tv, col suo pupillo Gianmarco Carroccia (che vedremo anche a Mantova), l’abbiamo sentita addirittura cantare…

«E questo, mi creda, è un miracolo. Ero l’uomo più stonato del mondo. Ma la musica è vita, è gioia. E quando vedo la gente cantare non so più trattenermi. Con Gianmarco poi viene naturale: raccoglie consensi ovunque, è un ragazzo che farà molta strada».

Oltre che per Battisti, lei ha scritto per decine di altri artisti. Ci regala una breve definizione per alcuni? Cominciamo da Mango.

«Unico. E una gran brava persona».

Riccardo Cocciante?

«Grande interprete ed eccellente compositore. Completo».

Gianni Morandi?

«Parla la sua carriera, la più lunga di tutti. Lui è un eterno giovane».

Gianni Bella?

«Un genio. La sua opera ( La Capinera, ndr ) ha ottenuto consensi unanimi».

Adriano Celentano?

«Anche lui un grande interprete. Dotato dal Signore di una timbrica particolarissima, capace di valorizzare ulteriormente quello che canta».

A chi scriverebbe oggi una canzone?

«Non mi sono mai proposto a nessuno, quindi non saprei risponderle. Quando scrivo, scrivo di me stesso, delle mie esperienze, della mia vita».

Si ricorda il primo testo che ha depositato alla Siae (di cui ora è presidente)?

«Certo. Si chiamava  Briciole di baci, era il 1960 e lo incise “la” Mina. Una canzoncina leggera, spensierata».

E cosa prova oggi a rileggerlo?

«Allegria».

Abbiamo aperto con Battisti e con lui chiudiamo. Cosa gli direbbe oggi se potesse incontrarlo?

«Gli chiederei semplicemente: come si sta di là?»

Domanda legittima, ma la curiosità può attendere. Lunga vita, Maestro.

Gabriele Ghisi