Quel “folle” di Renato Zero

MANTOVA

Alla fine, il grande giorno, o meglio la grande notte, che Mantova stava aspettando è arrivata. Ed è stata una di quelle serate per le quali vale davvero la pena aspettare, quelle nelle quali l’attesa del piacere è essa stessa il piacere, tanto per incominciare questo racconto con una citazione altolocata. Certamente, non c’è bisogno di scomodare il filosofo Lessing per descrivere l’ennesimo trionfo della carriera di Renato Zero. C’era il tutto esaurito alla Grana Padano Arena per la prima data mantovana del tour “Zero Il Folle”, con il sold out che si avvia ad arrivare anche per il concerto di questa sera, ed oggettivamente era difficile pensare il contrario. L’artista romano, reduce dalle settimane passate proprio qui in riva al Mincio, si è presentato con un carico di energia positiva assimilata ad un furore che lascia piacevolmente colpiti, frutto delle sei date al Palalottomatica nella capitale e del doppio show fiorentino al Mandela Forum; insomma, con un rodaggio abbondantemente fatto e finito (vista l’esperienza del Renato nazionale, non ce ne sarebbe nemmeno bisogno), era lecito attendersi uno show da capogiro. Così è stato. Un concerto fiume, di quelli che è difficile trovare in giro, dove Renato Zero propone quasi l’intero album che dà il nome al tour, senza tralasciare i capisaldi di oltre quarant’anni di carriera. Non ce ne vogliano i brani più recenti, in particolar modo la formidabile “Questi anni miei”, perché tutto ciò che esce dalla penna e dalla voce di questo immortale cantante è quanto di più simile ci sia al concetto di bellezza, ma ci sono canzoni che hanno la capacità di scavalcare i confini del tempo e del sublime. Giusto per fare qualche esempio, “Cercami”, “Si sta facendo notte”, “Mentre aspetto che ritorni”, “Il Triangolo”. C’è da dire che, oltre ad un concerto che è un inno alla grande musica italiana e ad un’icona della nostra storia, il buon Renatone non si smentisce e si lascia andare a non pochi, godibili, momenti di dialogo con il pubblico di casa. In questo senso, l’amore rappresenta il fil rouge che collega canzoni e parlato: quell’amore che è energia pulita, sostenibile, rinnovabile ed infinita, capace di andare oltre le barriere del tempo e dello spazio, antidoto alle brutture del mondo e all’affannosa corsa del vivere umano, inseguendo idealtipi di bellezza imposti. Insomma, l’amore, e la musica, sono un’ottima risposta a tutto ciò.
Ma il racconto di una serata da “sorcini” vissuta in mezzo ai “sorcini” non può prescindere dalle coreografie, parte integrante e fondamentale di un vero e proprio spettacolo come quello di ieri sera. L’esordio con “Mercante di stelle” vede schierato un manipolo di guerrieri statuari vestiti interamente di bianco, mascherati, una sorta di esercito di terracotta a difesa di lui, una sorta di Ultimo Imperatore di bertolucciana memoria. Temi floreali e orientali allo stesso tempo; Renato Zero non si smentisce mai con i suoi abbigliamenti, anch’essi elemento basilare di ogni sua performance. Si prosegue poi con altre straordinarie mise, stravaganza sopra le righe senza mai cadere nel pacchiano. “E pensare che non sapevo nemmeno se farlo questo tour – ha detto il buon Renato -, sapete perché? Ho pensato: ma che me metto?”. Risate, applausi, standing ovation. Insomma, spettacolo a trecentosessanta gradi, dove vengono stimolati quasi tutti i sensi e dove il turbinio di emozioni trova gioco facile nell’arco delle circa tre ore di concerto. Insomma, uno show che è come un quadro astratto, trionfo di colori, di impressioni e sensazioni. Ma, a dirla tutto, un neo c’è. Eh sì, perché in una scaletta come quella di ieri sera fa abbastanza rumore l’assenza de “I migliori anni della nostra vita”; per carità, il concerto è stato formidabile, un insieme di performance strepitose, ma il non aver sentito dal vivo una delle canzoni totem della storia di Renato Zero, effettivamente, un po’ è dispiaciuto. Fa niente. Di folle, comunque, questo Zero ha solo il nome del tour e dell’album: uno show ben pensato, intenso, capace di proporre due ottimi medley (sublime il primo con “Mentre aspetto che ritorni”, “La tua idea” e “Nei giardini che nessuno sa”), dove nulla è lasciato al caso. Renato Zero si conferma ancora una volta capace di mandare a scuola tante sedicenti popstar, con lo stile che lo contraddistingue e una storia che si rinnova ad ogni concerto. Tutti elementi che fanno diventare giganti prima e leggende poi, con buona pace dei follower, dei like e delle visualizzazioni oggi tanto di moda.
Federico Bonati