Amiry, la scrittura serve a non dimenticare durante la guerra

MANTOVA Niente deve essere stato facile per Suad Amiry.
Nemmeno venire a Mantova per partecipare al Festival della Letteratura. La scrittrice e architetto palestinese ha infatti dovuto affrontare un viaggio quanto meno rocambolesco, causa restrizioni per la pandemia da Covid-19, per raggiungere la città virgiliana: dalla Palestina, dove vive, alla Giordania, poi a Cipro e Atene da dove l’unico volo disponibile per l’Italia l’ha portata a Napoli e da lì fino a Piazza Castello. Tutto questo per presentare il suo ultimo libro, “Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea” (ed. Mondadori). Dopo “Damasco”, in cui ha dato voce alla città di sua madre e in cui è nata, questa volta il libro è dedicato a Giaffa, la città di suo padre. “Tutti i miei libri si fondano su fatti di realtà e sono ambientati in Palestina, tranne “Damasco”, ha spiegato la scrittrice a una platea con diverse sedie vuote, “perché l’ho scritto? Perché quando scoppia una guerra, come quella in Siria, ci si rende conto che si perderà qualcosa e allora ci si precipita a scrivere, anche per fissare nella memoria collettiva e non dimenticare”. Suad, figlia di una famiglia di profughi, è vissuta in Giordania, con una madre di Damasco e un padre di Giaffa. “Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea” è la storia d’amore tra due adolescenti nel 1947 ma, ancora di più, un omaggio al padre. “Questo libro ha preso avvio molto tempo fa da un avvenimento realmente accaduto”, ha raccontato la scrittrice, “poco dopo la Guerra dei sei giorni, mio padre ha avuto un permesso per tornare in Palestina. Arrivato a Giaffa si è diretto verso quella che era la sua casa. L’israeliana che la abitava, però, non gli ha permesso di entrare, nemmeno per recuperare la foto di mia nonna affissa su una parte. Al ritorno a casa, è stata la prima volta che l’ho visto piangere, avevo solo 15 anni. Da allora mi sono sempre detta che avrei voluto fare qualcosa per quella situazione ma non ci sono riuscita fino al 2018, quando mi sono recata personalmente a Giaffa”.
Tiziana Pikler