Falso Made in Italy, blitz anche a Mantova

MANTOVA C’è anche un imprenditore residente nella nostra provincia tra i sette indagati per frode in commercio e vendita di prodotti industriali con segni mendaci dalla procura di Torino. Si tratta di un cinese poco più che 30enne residente a Rodigo. Qui i militari della Guardia di Finanza torinese ieri all’alba hanno eseguito una perquisizione all’interno della sede di una ditta che commercia all’ingrosso capi d’abbigliamento e accessori per la moda, procedendo poi al sequestro probatorio della merce trovata all’interno per un valore che viene definito come “molto ingente”. Quello di Rodigo è uno dei cinque depositi individuati e messi sotto sequestro dalle Fiamme Gialle piemontesi nell’ambito dell’operazione Trama Fitta, un’indagine su prodotti venduti come Made in Italy, ma che in realtà provenivano da Cina, Pakistan e Turchia. I finanzieri hanno sequestrato oltre 6 milioni di articoli: posaterie, bilance, accessori d’abbigliamento, utensili per la cucina nonché bicchieri, piatti, tazze, tazzine, utilizzati anche nel circuito del trasporto passeggeri su navi da crociera e treni, che avrebbero fruttato un guadagno di circa 10 milioni di euro. Oltre alla provincia di Mantova, il blitz ha toccato anche quelle di Torino, Napoli, Barletta-Trani e Macerata. Dal deposito di Rodigo uscivano soprattutto capi d’abbigliamento etichettati in maniera quanto meno ambigua. Sulle etichette di vestiti e accessori sono state trovate delle etichette che riproducevano una bandiera con colori molto simili a quelli della bandiera italiana. Altrettanto ingannevole era la scritta, una sorta di “simil made in Italy”. Numerosi articoli sono stati trovati e sequestrati nel Torinese, Da lì le Fiamme Gialle sono risaliti fino al commerciante di Rodigo che era uno dei punti di raccolta della merce che arrivava in Italia in container dalla Turchia. L’intera filiera distributiva è stata ricostruita attraverso l’esame analitico dei flussi degli approvvigionamenti e le relative procedure doganali. La merce importata veniva presentata in dogana in imballi privi di indicazioni riconducibili a un’origine domestica per poi apporvi simboli tipici dell’italianità, idonei a ingannare il cliente finale.