TORINO A Mantova lo chiamavano il “Piranha” «e – ammette – è il soprannome che mi è rimasto più caro». Claudio Grauso è stato uno dei pochi a disputare tutti e 5 i campionati di Serie B del Mantova di Lori. «A Livorno – ricorda – ero il “Pitbull”, ma a Mantova questo soprannome era già di Spinale. Così mi ribattezzarono “Piranha”: azzeccatissimo. Anche se, col passare degli anni, da “recuperatore” di palloni mi sono trasformato in… compassato regista. Colpa dell’infortunio subìto nel 2007 a Treviso (rottura del crociato, ndr): fu lo spartiacque della mia carriera, perchè da allora cambiai modo di giocare. Ma, in fondo, mi sento sempre un “Piranha”».
Oggi Grauso vive nella sua Torino e ha messo su famiglia, con la moglie pugliese Giovanna che lo ha reso padre di Alessandro, 2 anni. Al quale, ovviamente, l’ex centrocampista biancorosso sta dedicando ogni attenzione in questi giorni di quarantena forzata. «Mi sento un baby sitter – scherza – . Con Alessandro gioco molto: ogni tanto gli metto davanti un pallone, mi sembra mancino. Però gli piacciono di più le moto. Quanto a mia moglie, si annoia e per questo sforna un piatto dietro l’altro. Che poi tocca a me mangiare. Insomma, praticamente in questi giorni gioco e ingrasso (ride). Battute a parte, è un momento difficile per tutti. Viviamo in un’emergenza talmente apocalittica che fai fatica a rendertene conto. Personalmente mi sento come in una bolla di vetro. Penso che solo in ospedale si possa avere la percezione reale del dramma».
Appese le scarpe al chiodo nel 2017, con una stagione in Eccellenza, Grauso ha intrapreso la carriera di allenatore (o meglio: collaboratore tecnico) nel settore giovanile del Torino, dov’è cresciuto. «Ho affiancato Coppitelli, tecnico emergente che avevo conosciuto poco tempo prima giocando a calcetto. Dopo due anni in Primavera, siamo stati ingaggiati dall’Imolese in Serie C. Io ero il viceallenatore. Ma siamo stati esonerati a fine settembre, dopo aver perso contro la Vecomp di Manuel (Spinale, ndr)». Vale la pena riprovarci? «Sì – risponde – . Mi piace stare sul campo e vorrei mettermi alla prova come primo allenatore, magari partendo da un settore giovanile. Poi non so se sarà la strada giusta. Diciamo che non so ancora bene dove voglio arrivare, ma so da dove voglio cominciare». Il che, aggiungiamo noi, non è poco.
La chiacchierata con il buon Claudio si chiude all’insegna del Mantova: «Quando penso ai miei 5 anni in biancorosso – dice – provo un misto di piacere e malinconia, per quella finale di Torino che rimane una ferita aperta. Ma sono stati anni bellissimi, in una città che ho amato tanto e dalla quale manco da un po’. Il Mantova continuo comunque a seguirlo, anche perchè ci sono alcuni giocatori che conosco personalmente: dall’intramontabile Altinier a D’Iglio, Serbouti, Mazzotti… Auguro al Mantova di concludere il campionato e conquistarsi sul campo la promozione: primo, perchè significherebbe che l’emergenza è stata superata; secondo, perchè vincere a tavolino non è mai bello». Infine, un pensiero per il dottor Ballardini, positivo al Coronavirus: «Gli mando un abbraccio, con l’augurio di rimettersi il più presto possibile».