L’odissea di una mantovana costretta a rimanere al terminal 2 di Malpensa

MANTOVA Doveva partire per gli Stati Uniti per sottoporsi a un’indagine diagnostica in un importante centro medico di San Francisco, ma mentre era in attesa di salire a bordo dell’aereo il governo statunitense avrebbe revocato con effetto retroattivo immediato il visto d’ingresso per gli italiani. Così lei, immunodepressa, si è trovata a passare la notte al Terminal 2 dell’aeroporto di Malpensa dove le porte sarebbero praticamente spalancate a clochard e senza tetto. È il racconto che  Barbara Truzzi una 55enne di Mantova dipende dell’ospedale Carlo Poma, fa della sua personale odissea. Un’odissea che non è ancora terminata, perché dopo essere stata praticamente a contatto con persone sconosciute, la donna non vuole tornare a casa perché teme di poter contagiare l’anziana madre con cui abita. E questo per lei è l’aspetto più grave dell’intera vicenda. «Non m’importa del mancato viaggio che avevo programmato da mesi – racconta -, riuscendo ad avere l’appuntamento per un consulto medico sul mio caso per il prossimo 5 maggio. Quello che m’importa, ora, è preservare la salute di chi mi sta accanto, e mi chiedo come sia possibile dopo quello che ho visto. Qui si parla di isolamento, di lock-down e tutte quelle belle parole per evitare il propagarsi del coronavirus, e allora vorrei che qualcuno si prendesse la responsabilità di tutto questo, di quelle porte spalancate a persone che vivono nell’indigenza e che non hanno certo modo di procurarsi mascherine o guanti per evitare il contagio. Ora – conclude -, mi trovo nella condizione di non potere partire e nello stesso tempo di non potere tornare, perché se dovessi avere contratto il virus rischierei di contagiare i miei familiari».