Il lenzuolo di Clelia Marchi vive nel piccolo museo del diario

AREZZO A Pieve Santo Stefano, una manciata di chilometri da Arezzo, c’è uno dei luoghi più curiosi ed affascinanti d’Italia: il Piccolo Museo del Diario. Un luogo unico al mondo, creato dal giornalista e scrittore Saverio Tutino, dove sono raccolte la vita di quasi settemila persone, attraverso i loro diari, i loro scritti, le loro lettere e memorie. L’Archivio di Pieve Santo Stefano è, semplicemente, l’El Dorado di tutti coloro che sono alla ricerca di una storia che valga la pena raccontare. Poteva, in un luogo del genere, non esserci un tocco di mantovanità? Ovviamente no. Ma quella in questione non è una vicenda qualunque, una storia come tante, ma quella dell’autrice di un lenzuolo diventato il simbolo del Piccolo Museo del Diario. La storia è quella di Clelia Marchi, una signora che ha passato tutta la vita a Poggio Rusco, una donna che ha conosciuto la fatica del lavoro dei campi e che ha deciso di scrivere la storia della sua vita in un lenzuolo da corredo, che supera i due metri; una scelta che l’ha portata anche a diventare una scrittrice e quindi ad essere conosciuta dal grande pubblico. Nella sua semplicità, un’idea straordinaria, di una bellezza letteralmente sconcertante. Queste sono le prime parole con cui Clelia ha iniziato a scrivere sul lenzuolo: “Care persone fatene tesoro di questo lenzuolo che c’è un pò della vita mia”Davanti a tutto ciò è quasi impossibile non rimanere incantati, scorrendo con lo sguardo le lettere scritte da Clelia sull’iconico lenzuolo bianco, dove sono racchiusi settant’anni di vita, tonnellate di ricordi e la potenza intramontabile di un solo amore, quell’Anteo Benatti che, dopo la sua scomparsa nel 1972, è stato forse l’artefice dell’idea di Clelia, come spiegò la donna: «Le lenzuola non le posso più consumare col marito e allora ho pensato di adoperarle per scrivere». Nella stanza del museo aretino dedicata al lenzuolo, i visitatori possono trovare le righe numerate, giusto per non perdere il filo leggendo. Ma che cosa si può trovare sul lenzuolo di Clelia? La vita, la vita di una donna come tante eppure unica ed inimitabile, le esperienze di un passato comune che non c’è più, insegnamenti genuini e la potenza di un amore capace di resistere al tempo e allo spazio e anche dopo l’estremo addio. Dai giorni di scuola nei rigidi inverni in cui si andava a piedi, con gli zoccoli, ed un cappotto rammendato alla bell’e meglio, ai pasti con la polenta perché il pane aveva il sapore del lusso, dal lavoro della terra alle guerre che da lontano arrivano nelle case, crivellando muri e spegnendo vite. Ma, come detto, nel lenzuolo di Clelia c’è anche il senso dell’amore, quello per i figli e quello per il marito Anteo, un ragazzo dagli occhi azzurri, di quelli che non lasciano indifferenti, conosciuto a 14 anni e sposato a 18, compagno di una vita prima vissuta e poi narrata al mondo nella maniera più incredibile e straordinaria che potesse esserci, ricamando il tutto con il filo della sincerità e le lettere suggerite dai ricordi. Parafrasando Ligabue, se c’è qualcuno che ha trovato un modo per “fregar la morte”, quella è stata Clelia, che ha reso immortali una vita intera ed i suoi protagonisti, attraverso parole sul suo lenzuolo. Federico Bonati