Il medico arrestato respinge le accuse: cercavo di salvare vite, non di uccidere

MANTOVA – Tutto quello che ho fatto è stato cercare di salvare delle vite umane e non certo uccidere delle persone. Questo più o meno quello che  Carlo Mosca, il medico 47enne mantovano primario del Pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari arrestato con l’accusa di omicidio volontario e falso in atto pubblico avrebbe detto ai propri difensori in attesa di comparire davanti al gip per l’interrogatorio di garanzia. Gli avvocati del medico che si trova attualmente agli arresti domiciliari sono ancora in attesa della notifica da parte del gip di Brescia  Angela Corvi, ma secondo fonti del tribunale la prima data utile sarebbe quella di venerdì prossimo, 29 gennaio. A quella giornata sono comunque rimandate eventuali istanze di revoca della misura cautelare dei domiciliari e strategie da parte delle difesa. Gli avvocati di Mosca non escludono che in quella sede si avvalga della facoltà di non rispondere, per poi difendersi nel merito una volta a giudizio, e stigmatizzano la tendenza dell’opinione pubblica a fare le sentenze prima dei processi. Pesantissime le accuse mosse dalla procura di Brescia al professionista 47enne; stando all’ordinanza eseguita l’altro giorno dai carabinieri del Nas di Brescia che hanno condotto le indagini, Mosca è sospettato “di omicidio per aver intenzionalmente somministrato a pazienti affetti dal Covid-19 farmaci ad effetto anestetico e bloccante neuromuscolare, causando la morte di due di loro durante la cosiddetta prima ondata pandemica”. I fatti risalgono allo scorso marzo, momento in cui la pandemia esplodeva e il territorio bresciano era tra quelli più colpiti con ripercussioni disastrose sulle strutture ospedaliere. Le indagini del carabinieri del Nas di Brescia erano scattate a due mesi di distanza da due morti sospette, quella di un 80 e di un 61enne, entrambe avvenute al pronto soccorso di Montichiari, dove all’epoca Mosca era primario facente funzione. dalle analisi delle cartelle cliniche di numerosi pazienti deceduti in quel periodo per Covid-19, gli investigatori avrebbero riscontrato in alcuni casi un repentino, e non facilmente spiegabile, aggravamento delle condizioni di salute. Tre salme erano state esumate e sottoposte ad indagini autoptiche e tossicologiche che avrebbero rivelato la presenza di un farmaco anestetico e miorilassante comunemente usato per l’intubazione e sedazione del paziente che, se utilizzato al di fuori di specifici procedure e dosaggi, può determinarne la morte. Peraltro, nelle cartelle cliniche di due deceduti, un 80enne e un 61enne, non compare la somministrazione di quei medicinali, tanto da ipotizzare a carico dell’indagato anche il reato di falso in atto pubblico.