La dittatura nasce dopo elezioni democratiche

La storia è maestra di vita. L’interpretazione pertinente dipendere dalla conoscenza approfondita della politica del momento. Siamo a un secolo di distanza dalle prime elezioni fasciste dell’aprile 1924, che legittimarono non solo il primo governo guidato da Benito Mussolini, ma anche il “dominio” del fascismo sull’Italia e sulla vita degli italiani. Da quel momento nacque il così detto “partito – Stato”, che per un ventennio identificò le sue sorti con quelle della patria. Mentre Mussolini con la Marcia su Roma del 1922, è andato al potere con una sorta di pseudo colpo di Stato, approvato dal re (primo tradimento della Casa Savoia nei confronti degli italiani), e approvato da gran parte della classe politica liberale (voleva l’ordine proposto da Mussolini), il fascismo si è impossessato delle leve del Paese, utilizzando uno strumento tipico delle democrazie liberali: le elezioni politiche. Dopo l’approvazione delle nuova legge elettorale la così detta “Legge Acerbo”, votata dal Parlamento italiano il 18 novembre 1923, tutto era predisposto per l’indizione di nuove elezioni generali, d’accordo il governo e il Re. Ciò che il Duce voleva raggiungere nella prossima consultazione elettorale era una vera e propria investitura popolare del suo mandato di governo per cui ha inteso rivolgere il suo appello non soltanto ai fascisti della prima e dell’ultima ora, ma a tanti “sinceri” democratici di centro. Quindi per raggiungere questo scopo era assolutamente necessario aprire la “Lista governativa”, in seguito denominata “Listone”, anche ad altri soggetti che godevano la stima e la considerazione degli italiani moderati. II Partito liberale decise di lasciare ai suoi iscritti carta bianca: essi erano liberi di accedere alla lista governativa, come fecero i socialisti di Giolitti e altri. Il Partito Popolare italiano di don Luigi Sturzo (il partito dei cattolici) decise di presentarsi alla competizione elettorale con una lista propria. Don Sturzo intendeva con questa azione cooperare “al ritorno della vita pubblica alla normalità costituzionale ed opporsi ad ogni attentato contro l’istituto parlamentare e contro le libertà politiche della Nazione. La Segreteria di Stato Vaticano non considerò il progetto di don Sturzo. Infatti, il 10 febbraio 1924 ha inviato a tutti i vescovi italiani e superiori maggiori degli ordini religiosi una lettera, nella quale si chiedeva loro di tenersi fuori dalle “lotte dei partiti e al di sopra di ogni competizione meramente politica”, affinché la passione politica non prendesse il sopravvento sul ministero pastorale, portando così divisione e scompiglio all’interno della comunità
cristiana. Pure i sacerdoti sono stati informati del volere superiore. Accadde che la maggior parte di loro si è astenuta da consigliare il voto. E un certo scalpore fece, in quei giorni, un’infelicissima circolare “segreta” inviata da un attivista popolare di Macerata ai parroci della provincia, con cui essi venivano invitati a collaborare per la vittoria della lista popolare in quella zona. La Santa Sede ha danneggiato molto il partito di don Sturzo, che ha avuto una perdita considerevole di consenso. Il 6 aprile 1924 l’affluenza alle urne fu grande, sette i milioni di italiani presenti al voto. Il “Listone” di Mussolini ebbe con la “lista bis” apparentata 374 seggi sui 535 disponibili. I due partiti socialisti – quello unitario (Giacomo Matteotti segretario) e quello massimalista ottennero insieme il 9,4% dei voti. Il Ppi fu il partito dell’opposizione più votato con il 9,1% dei consensi, mentre nelle politiche del 1921 aveva ottenuto il 21% dei suffragi.
GASTONE SAVIO