MANTOVA Un modo semplice ma diretto di fare memoria, di ricordare chi è stato deportato.
Anche a Mantova sono state poste le prime quattro pietre d’inciampo tra i numeri civici 40 e 42 di via Principe Amedeo, davanti alla casa della famiglia Levi.
Quattro sampietrini lucenti con la parte superiore in bronzo ognuno con un nome: Enea Samuele Levi, Elide Levi e le figlie, Silvana e Luisa, quest’ultima la più giovane deportata ebrea di Mantova, a soli quattordici anni.
“Quello che ci rimane di queste persone sono solo i nomi”, ha affermato l’artista tedesco Gunter Demnig che dal 1993 ha avviato questo progetto di mosaico diffuso in tutta Europa. “Oggi se ne contano 71mila in diversi paesi”, ha dichiarato Daniela Ferrari, presidente dell’Istituto Mantovano di Storia Contemporanea, “ci sono visioni differenti: chi apprezza l’iniziativa e chi invece ritiene che queste persone vengano calpestate due volte. In realtà camminandoci sopra i sanpietrini diventano più lucidi”.
Su di essi non ci sono commenti.
“Un inciampo mentale, un monumento diffuso, per ridare dignità a chi l’aveva persa in maniera tragica, questo è il senso del sanpietrino”, ha proseguito Emanuele Colorni, presidente della Comunità Ebraica, “Mia nonna era molto amica di Elide. A differenza loro, la mia famiglia ha avuto un esito più felice. Queste pietre ricordano l’ultimo momento in cui i Levi hanno vissuto insieme”.
“La casa di via Principe Amedeo è appartenuta alla famiglia Levi dal 1901 al 1935, quando è stata venduta a un parente veronese che gli aveva concesso di abitare al primo piano”, ha spiegato la storica Maria Bacchi.
“La mia generazione ha vissuto la guerra attraverso i racconti dei nonni, un ricordo che le prossime generazioni non avranno”, ha detto il presidente del consiglio comunale Massimo Allegretti nel corso del convegno dedicato alle pietre d’inciampo che si è tenuto nell’Aula Magna dell’Università di Mantova.
Tiziana Pikler