MANTOVA Quell’intervento non s’aveva da fare né ora né mai. Così si pronuncia il leader dell’opposizione consiliare in Comune in riferimento alla riqualificazione della sponda lacuale di Belfiore nei punti in cui le autorità sanitarie hanno revocato i divieti di balneabilità. E non sono solo ragioni sanitarie, ma mappe e decreti che sanciscono l’intangibilità delle fasce di rispetto che le operazioni di sistemazioni messe in campo dal Comune avrebbero apertamente violato. Per dimostrare quanto diventerà oggetto di una mozione consiliare Stefano Rossi (Mantova ideale) si arma di carte topografiche e normative che non solo puntano il dito contro via Roma e quei 65mila euro spesi, a suo dire, indebitamente, ma persino il Parco del Mincio che ha approvato il progetto per fare di Belfiore ciò che Rossi stesso definisce una “piccola Rimini”.
Intanto, seppure secondario, c’è il nodo igienico da sciogliere, che emerge dallo storico delle carte: «Quello che fa specie è che ci si preoccupa della qualità dell’acqua per colibatteri, ecc. ma ci si dimentica o si finge di dimenticare che sul Mincio (che non è il Garda), dalla Costa Brava all’Isola delle Oche, sino al Vasarone, esiste e prospera una pericolosissima malattia che si chiama “leptospirosi” causata portata dal topo rosso, la così detta “ponga”, che già negli anni ’60 fece chiudere per i troppi contagi l’attività del capanno “Besutti”».
Ma ciò che per Rossi risulta determinante è la mappatura dell’area di rispetto, che senza una ridefinizione del Piano di gestione del territorio (Pgt) identifica quella interessata dai lavori come area di “rinarurazione”.
«Gli ambientalisti mantovani, che sembrano tanto interessati alle rane e alle testuggini dell’ex lago Paiolo, qui non aprono bocca. Eppure – prosegue Rossi – qui a Belfiore non viene salvaguardata la viabilità storica, non viene perseguito il decoro ambientale, scongiurando e controllando ogni forma di disordine (escavazioni, discariche di materiali), con il “ghiaiotto” depositato sulla sponda e sul fondo. Non vengono salvaguardati, potenziati e valorizzati i filari e le quinte arboree o arbustive che al contrario sono state estirpate con tanto di escavatore per far posto al caro gradito “ghiaiotto”. Né vengono salvaguardate le potenzialità di percezione del paesaggio e vengono ammessi interventi e attività che possano portare alla parziale o totale ostruzione delle visuali e possano compromettere le condizioni di accessibilità e fruibilità pubblica dei siti e dei tracciati (e delle sponde in questo caso)».
Per il leader dell’opposizione vengono calpestati agli articoli D38 e specialmente D39 del Piano delle regole, che in materia di salvaguardia ambientale parlano chiaro: «Il Parco del Mincio ha ottenuto l’ingresso nel piano rete natura 2000 nel 2011 e ha predisposto un piano di gestione relativo alle aree coinvolte in tutti i comuni ove passa il Mincio – prosegue Rossi –, da Valeggio a Governolo, e in particolare, le norme di attuazione al piano di gestione Sic (Sito di interesse comunitario) It 20 B0017 e della Zps (Zona a protezione speciale) It 20 B0009 che ha fatto di anse e valli del Mincio aree molto restrittive da Rivalta al ponte dei Mulini e in Vallazza, mentre il Comune è passato sopra gli obiettivi del Dpr 357/97, col quale lo Stato si erge a garante delle zone ambientali ridimensionando le competenze regionali che negli anni la Regione vantava di regolamentare», conclude Rossi.