Tamponi nella bufera: le lamentele degli utenti dopo una mattinata all’addiaccio

MANTOVA  Mattinata di tregenda quella di ieri in tutta la provincia, e la bufera non ha certo risparmiato chi era in fila per fare il tampone all’ospedale Carlo Poma di Mantova. La necessità di mantenere le distanze da una parte e quella di ripararsi dagli scrosci di pioggia e dalle folate di vento gelido hanno reso la vita particolarmente difficile a chi doveva starsene in fila. Del resto era più che prevedibile una situazione del genere durante i mesi invernali, senza scomodare il meteo; per contro nessuno all’ospedale Carlo Poma ha previsto che le persone in coda per il tampone potessero avere bisogno di un riparo dalle intemperie. A segnalare il disagio, rivolgendosi direttamente al nostro giornale, sono stati alcuni cittadini che lunedì mattina hanno raggiunto la struttura esterna installata a fianco del pronto soccorso del Carlo Poma dove vengono eseguiti i tamponi. La bufera di pioggia e vento, come è accaduto ieri, ha fornito due possibilità agli utenti: accalcarsi tutti sotto la tenda di cortesia che può accogliere al massimo una ventina di persone («Ma ieri ce n’erano almeno il doppio», ci ha detto una delle donne che ha contattato la Voce), oppure rifugiarsi dentro l’automobile, ma può farlo solo chi è arrivato fino al parcheggio motorizzato. Tutti gli altri devono arrangiarsi. E così molti hanno dovuto pazientare sotto l’ombrello al freddo in attesa del rispettivo turno per ottemperare alle misure anti-contagio. Tra loro anche due donne incinta e un papà con in braccio il figlioletto di 3 mesi. «Ovviamente nessuno di noi se la sta prendendo con il personale sanitario che sta facendo egregiamente il proprio lavoro – dicono gli utenti che hanno pazientato sotto la pioggia – ma con una certa carenza nell’organizzazione, perché d’inverno, con il brutto tempo, sarebbe opportuno ampliare il luogo dove i cittadini possono attendere il loro turno al coperto, protetti dalle intemperie. Altrimenti si rischia di arrivare sani e tornare a casa con la febbre».

Matteo Vincenzi