PARMA Sorte gloriosa e triste, quella del Teatro Reinach di Parma. Lo aveva voluto un tedesco, il banchiere Oscar Reinach, nel 1871, come corrispettivo popolare allo scrigno del Regio. Ne aveva affidato la realizzazione a Pancrazio Soncini, raccomandandogli sobrietà ed eleganza. Lo hanno distrutto gli Alleati, durante un pesante bombardamento avvenuto il 13 maggio del 1944, quando ormai il Reinach era passato sotto il più italico nome di Teatro Paganini, in omaggio al genius loci. Poco più di mezzo secolo di vita in cui attori e cantanti, trionfi e fiaschi, si sono avvicendati in programmazioni serrate, con addirittura due spettacoli al giorno, nonostante la guerra in corso e l’occupazione nazista. La Stagione lirica del Regio quest’anno ha esordito con un singolare quanto coraggioso omaggio alla memoria di quel “fratello minore” la cui memoria meritava un risarcimento. E lo ha fatto, gli scorsi 11 e 12 dicembre, restituendo, inebriante, intatto, il profumo di un’epoca irripetibile attraverso un’operetta in cui storia e fantasia si intrecciavano mirabilmente, inanellando nella spirale di una trama avvincente le pagine più celebri del genere principe a cavallo tra XIX e XX secolo. Nel teatro silenzioso è rimasto, custode di una nave ormai relitto di sé, il Suggeritore. Fuori imperversa la guerra nella sua fase più cruda: bombardamenti, rappresaglie, rastrellamenti. Qui ad un tratto giunge per un provino la talentuosa Caterina, sfollata, in cerca dell’occasione della vita. Non troverà l’atteso impresario Bergonzi, scappato a sua volta per sfuggire alle bombe, bensì – con sua grande sorpresa – il fidanzato Mino, che con i suoi compagni di lotta è reduce da un attentato alla polizia militare tedesca e che, vedendo la porta del teatro aperta, approfitta per trovarvi rifugio. Due generazioni diverse, l’anziano Suggeritore e gli scalpitanti ragazzi; quel luogo dormiente come tana e speranza di salvezza, ma anche laboratorio di creatività, improvvisato ricettacolo d’amore. E sarà proprio l’atmosfera del luogo a suggerire un alibi all’inevitabile irruzione dei nazifascisti che incombe sui destini di quell’umanità così diversa e similmente provvisoria. L’idea di uno spettacolo da allestire di lì a breve. Numeri da provare, costumi da indossare e cambiare con illusionistica rapidità, atmosfere sognanti ricreate ad arte come moneta di scambio per guadagnare un metro in più di vita. Per la cronaca, i repubblichini arriveranno, nella persona dell’inamidato Attila Bottazzi, e con essi i tedeschi, con il Maggiore Kessler. Chiederanno i documenti con fare minaccioso, ma per un attimo la bellezza di quello spettacolo li rapirà al loro scellerato dovere. Solo alla richiesta di sentir eseguire “Giovinezza” l’ardito Mino sbotterà, sfidando la morte e mostrando il tricolore, mentre dal loggione del tetro (vero) scende una pioggia di volantini lanciati dal CLN che incitano la popolazione ad insorgere. Le sirene degli imminenti bombardamenti aerei offrono ai giovani l’occasione per scappare, nel parapiglia generale. Solo l’anziano Suggeritore rimarrà, come un cristallo di storia, nel luogo in cui si è spesa la sua vita; lì attende la fine. Uno spettacolo leggero, amaro, dolcissimo; l’ennesima prova di coraggio di un Teatro, il Regio, questa volta, capace di osare sui terreni scoscesi di una proposta non scontata, rammendata come una seconda pelle addosso all’identità di una città. Un’operetta nella cattedrale del belcanto italiano. Quasi una provocazione, sicuramente un azzardo. Eppure, il successo (noi eravamo alla recita della domenica), giungeva clamoroso. Il libretto di Sergio Basile scorreva fluido con tratti di toccante poesia, contrappuntando con puntuale efficacia i numeri chiusi di alcune arie della grande letteratura di genere. Da applausi il cast in cui spiccavano, tra i personaggi femminili, la Caterina frizzante e temperamentosa di Eleonora Buccarini e l’Adalgisa versatile di Lucrezia Drei. Magnifico anche l’Achille di Marco Bussi, tra ironia e sapidità. Strepitoso poi, per aderenza alla parola, versatilità, scavo introspettivo, il Suggeritore di Alfonso Antoniozzi, accolto da ovazioni. In buca, l’Orchestra Rapsody aveva nella conduzione di Gianluca Martinenghi una guida salda ed ispirata. Senza sbavature la regia di Marco Castagnoli, che tratteneva l’occhio del pubblico ad un passo dal teatro e che indugiava invece sul dietro le quinte, sul retrobottega di quella macchina dello stupor in cui tutto può succedere; lo spettacolo della vita, tra miracolo e dramma, straordinario anche a riflettori spenti.
Elide Bergamaschi