MANTOVA “Un nuovo racconto della guerra”, questo il titolo dell’incontro svoltosi ieri mattina nella Basilica Palatina di Santa Barbara. Ed è una guerra, quella che Domenico Quirico racconta, che non lascia molti spiragli di ottimismo ma anche, anzi, definisce questo conflitto come una costante del mondo – ieri come oggi – che mai cambierà e mai, soprattutto, sparirà dalla terra. La soluzione? difficile trovarla ma di certo un primo importante passo è accettarla, guardarla negli occhi senza volerla nascondere o rendere meno traumatica.
Un racconto, quello dei conflitti, che Quirico, dialogando con Franco Lorenzoni ha sottolineato deve essere mostrata anche ai più piccoli: «non tutte la fiabe hanno il lieto fine». Si pensi, infatti, che anche i grandi classici della letteratura vengono spesso riviste per i bambini, tralasciando, se non modificando, le parti più crude in favore di uno sguardo più positivo, più ottimista, più bello insomma. Un’azione che andrebbe, però evitata, come ribadito dal professor Lorenzoni che ha portato la sua esperienza di insegnante ogni giorno a contatto con piccoli scolari con i quali ha affrontato anche temi difficili come la migrazione e la foto, ormai tristemente nota, del piccolo Aylan.
Un viaggio nel mondo delle guerre che fa i conti con le realtà che ogni giorno vediamo che porta, purtroppo, anche a perdere quello sguardo ottimista verso ciò che verrà: «la ferita della dignità sta nel recidere l’aspirazione al bene e questa non andrebbe mai mai persa, perchè così si finisce con il perdere il futuro» (quella che Kant chiamerebbe la narrazione del male radicato), ha spiegato Quirico intervistato da Davide Tamagni.
«La guerra è morte che non si può arginare. Tutti gli eroi omerici sanno prima o poi di dover morire e allora la morte e la guerra sono qualcosa che abbiamo espulso dal nostro orizzonte psicologico, mentre la morte era fino a poco tempo fa un evento collettivo e pubblico, invece, oggi è vergogna, la si vuole nascondere. La guerra l’abbiamo altrettanto nascosta, relegandola a luoghi marginali del mondo». Conflitti tenuti sempre più lontani, dunque ma dimenticando che questi sono, in realtà, l’unica costante della storia che si è, in realtà, modificata poichè oggi non c’è un «dopoguerra: ci sono generazioni nate, cresciute e morte con la guerra», ha continuato Quirico. Un conflitto permanente che finisce inevitabilmente per stravolgere la “normale” vita delle persone: di chi vi assiste e la annulla e di chi la vive come i bimbi siriani che imparano a riconoscere il tipo di proiettile dal boato che emette, i palazzi sicuri da quelli caduti nelle mani del nemico.
La soluzione? Tornare a dare dignità al termine “tragedia”, oggi troppo abusata. «Se ascoltiamo la tv sentiamo sempre questa parola – conclude Quirico – ma venite con me e vi porto in posto dove le restituisco dignità: sopravvivenza, ricerca di un dio. Questa è è “tragedia”». (v.g.)