Jeffery Deaver: ”I social spacciano fake news che sono la rovina della società”

MANTOVA È uno dei maggiori maestri del crime statunitense. Jeffery Deaver è da poco tornato in libreria con il suo nuovo thriller, “Il gioco del mai”. Il protagonista è Colter Shaw, un tracker, uno che per vivere cerca persone scomparse.
Dopo tanti libri e tanti protagonisti, come si crea un nuovo personaggio?
“Colter Shaw è un uomo pieno di risorse, mosso da convinzioni etiche, disposto a sacrificare tanto per raggiungere gli obiettivi che si è prefissato. Quando si crea un personaggio nuovo, questo deve avere caratteristiche reali unite a qualità eroiche, insieme ad alcuni difetti. Allo stesso tempo il cattivo deve avere degli aspetti positivi, pur avendo degli obiettivi da perseguire nella sua mente. Colter è un solitario, un uomo che fa fatica ad avere relazioni stabili. Mi sono ispirato a James Bond e Clint Eastwood nei ruoli recitati nei film western di Sergio Leone. È come se avessi voluto aggiornare questo personaggio ai giorni nostri. Alcune donne mi hanno chiesto se Colter fosse stato modellato su un personaggio reale perché avrebbero avuto piacere di conoscerlo”.
Qual è la formula di Jeffery Deaver per scrivere i suoi romanzi?
“Quando saliamo su un’automobile nuova vogliamo che venga verificata in ogni sua parte. Ecco, scrivere un romanzo per me è la stessa cosa. Inizio avendo già in mente una formula. Per ‘Il gioco del mai’ ho impiegato otto mesi a pianificare in maniera scientifica il lavoro e a fare ricerca studiando il mondo dei videogiochi e creando il personaggio. Al termine di questa fase avevo già un centinaio di pagine di testo. A questo punto, il successivo momento della scrittura mi ha impegnato un paio di mesi ed è stata la parte più semplice. Adoro Ludwig van Beethoven e costruisco i libri come si compone la musica classica, opera o sinfonia che sia. La trama è concepita come una consequenzialità di onde emozionali, momenti più intensi e altri meno con una riconciliazione finale”.
Il libro è ambientato nella Silicon Valley. Perché ha scelto questa location?
“Innanzi tutto è un luogo sinonimo di sviluppo tecnologico, riconosciuto come tale in tutto l’universo. In un romanzo noir non basta un semplice omicidio. Il thriller ha bisogno di un respiro più ampio. In questo caso ho messo in luce la disparità esistente tra i super miliardari che hanno concepito idee e persone che vivono poco al di sopra della soglia di povertà. Da ex avvocato che ha lavorato a Wall Street mi piace studiare i casi in cui alcune leggi hanno favorito l’accumulo di ricchezze. Quando in una società si crea tanta disparità non è mai un bene”.
Ci sono teorie diverse sull’impatto dei videogiochi. Che idea si è fatto?
“Negli Stati Uniti ci sono stati diversi episodi di violenza messi in atto da persone che si è scoperto poi essere assidui giocatori. Dalle ricerche che ho svolto, però, questa consequenzialità non può essere provata. Ci sono giovani con tendenze violente che prediligono giochi altrettanto violenti ma ciò non significa che questo porti a compiere atti pericolosi. I videogiochi possono indurre comportamenti additivi, ossia ci sono individui che trascorrono ore davanti a uno schermo sottraendo tempo prezioso al lavoro e alle relazioni sociali. Molti videogiochi hanno anche effetti positivi su soggetti con diverse patologie come dislessia, sindrome di Asperger e difficoltà nell’apprendimento”.
Come sopravvive il libro alla concorrenza delle altre forme di intrattenimento?
“Un libro, una storia, è l’esperienza creativa più coinvolgente che ci sia. È un qualcosa di unico perché attraverso di esso il lettore percepisce tutte le emozioni che l’autore intende trasmettergli. È vero che siamo sempre più distratti da altre forme di intrattenimento come le serie tv e i videogiochi stessi. Diciamo che con questo libro ho cercato di riportare all’ovile le pecorelle smarrite”.
E ai social?
“Twitter, come gli altri social, ha creato un’enorme inflazione di non giornalismo. Chiunque può postare qualcosa e farla diventare una notizia. Un ex consulente di Donald Trump, di cui non sono un fan, li definiva fatti alternativi. Non esistono fatti alternativi. O sono fatti o non lo sono. I social media spacciano fake news che vanno a detrimento non solo della verità quanto della società nel suo complesso”.
Tiziana Pikler