Gdo e mercati ortofrutticoli, Coldiretti Mantova: produttori alla sfida dell’aggregazione

MANTOVA Qualità, sostenibilità, aggregazione dell’offerta, attenzione all’ambiente e alle risorse idriche, potenziamento della infrastrutture strategiche, comprese quelle immateriali. Sono le sfide che dovrà sostenere l’ortofrutta, se vorrà rimanere sul mercato e non farsi schiacciare dalla concorrenza, anche estera. È quanto emerso dal convegno organizzato da Coldiretti Mantova a Sermide sul tema “Grande distribuzione e mercati ortofrutticoli, quali opportunità?”. Moderatore dell’evento è stato Andrea Montaldi, segretario della zona di Sermide-Felonica e Ostiglia

Le produzioni di élite, in un’area come quella del Basso mantovano vocata alla produzione di melone, cocomeri, pere, mele, zucche, non mancano. Caso tipico quello del melone mantovano. “Nel 2013 siamo partiti con 400 tonnellate di meloni – ha ricordato Mauro Aguzzi, presidente del Consorzio del melone mantovano Igp -. Nel 2018 abbiamo commercializzato 6.500 tonnellate, per il 98% vendute alla grande distribuzione organizzata”.

Far capire i valori dell’Igp è dura, ha affermato Aguzzi. Gli ha fatto eco Fausto Mantovani, presidente della sezione di Sermide di Coldiretti. “Molto spesso – ha detto Mantovani – la gdo predilige il prezzo alla qualità”. E dove non ci si mette la gdo, in alcuni anni ci pensa il meteo. “Dobbiamo sempre di più fare i conti con i cambiamenti climatici – ha incalzato Andrea Costa, presidente della sezione di Felonica di Coldiretti -. Si passa dalla siccità alle bombe d’acqua. Oggi bisogna saper coltivare in condizione spesso estreme”.

Ecco che un uso oculato delle risorse idrico diventa, come ha raccomandato il presidente di Coldiretti, Paolo Carra, “un impegno inderogabile”.

Negli anni il settore è cresciuto. Lo ha testimoniato Francesca Nadalini, vicepresidente della organizzazione di produttori del territorio, passata negli anni dalla vendita soltanto di meloni a una gamma di prodotti che comprende carciofi, albicocche, pere, mele, zucche, con soci in Lombardia, Veneto, Emilia.

Eppure, la strada per l’aggregazione è ancora lunga. Lo si comprende dai numeri di Alessio Compassi, responsabile Prezzi, statistiche e merceologia del Mercato agroalimentare di Padova. “Il 55% di tutta l’ortofrutta nazionale transita da mercati all’ingrosso, che sono una garanzia in termini di freschezza del prodotto e concorrenza trasparente fra ditte – ha precisato Compassi -. Tuttavia, gli scenari in Europa sono molto diversi: in Italia ci sono 137 mercati ortofrutticoli, in Francia 16, in Spagna 23”.

La crescita che ha avuto l’export della Spagna è impressionante. “In 10 anni la Spagna è diventato il primo esportatore di ortofrutta in Europa, mentre l’Italia è rimasta al palo”, ha reso noto Lorenzo Bazzana, responsabile Ortofrutta di Coldiretti nazionale. Le esportazioni di ortofrutta Made in Italy sono crollate, secondo le elaborazioni di Coldiretti, del 12% nel 2018 su valori minimi dell’ultimo decennio sotto i 4 miliardi di chili.

“I consumi interni di ortofrutta – ha continuato Bazzana – sono in diminuzione, ma le opportunità non mancano. Nella grandi città, ad esempio, si sta sviluppando il fenomeno della consegna a domicilio anche per i prodotti ortofrutticoli”.

Indispensabile, poi, sarà comunicare il proprio prodotto, tenendo presente che “il consumatore al primo posto guarda che non ci siano zuccheri, sale, olio di palma. Solo dopo presta attenzione alla provenienza e verifica se il prodotto è italiano”.

Accanto all’aggregazione, ha proseguito Bazzana, “per fare redditività bisogna legare il prodotto all’identità di un territorio e ricercare il gusto, che è la modalità per affermare la qualità”.

È uno scenario, ha ribadito Carra, in cui comunque la sensibilità verso il brand “Italia” finora ha fatto da paracadute e sta permettendo ai produttori italiani di assorbire parte delle inefficienze. Ma è chiaro che non basta avere prodotto buono, le aggregazioni saranno necessarie”.