Calcio Eccellenza – Corghi: “Garda isola felice ma tornare ad allenare qui è una tentazione forte”

Paolo Corghi portato in trionfo ai tempi del Castel d’Ario, che ha condotto dalla Seconda in Promozione

MANTOVA Verona ce l’ha “rubato”, ma questa forse è la volta buona che ce lo riprendiamo. Parliamo – e si scherza naturalmente – di  Paolo Corghi, artefice del miracolo Castel d’Ario, da tre stagioni alla guida del Garda. Dopo una lunga e fortunata carriera da giocatore, regista (manco a dirlo) davanti alla difesa, e un paio d’anni d’apprendistato con i giovani («E un campionato Allievi vinto col Porto» tiene a ricordare), Paolo ha esordito come allenatore in categoria alla guida appunto del Castel d’Ario, dapprima nella doppia veste di tecnico e giocatore, poi solo dalla panchina. In due anni ha portato i bianconeri dalla Seconda alla Promozione, nei successivi tre ha sempre confermato la squadra in categoria. Poi è andato al Garda, traghettando subito la squadra veronese dove mai era arrivata, in Eccellenza, quindi ad una tranquilla salvezza e quest’anno, prima dello stop, alla finale (persa) di Coppa Veneto. «In campionato – spiega – eravamo nel limbo, un po’ indietro in classifica, ma comunque più vicini ai playoff che ai playout. L’obiettivo della società era la salvezza, ma secondo me si poteva fare di più. Il cammino in Coppa ci ha tolto qualcosa, siamo stati un po’ altalenanti, ma contavamo di chiudere bene la stagione. Poi è arrivato il virus».
Come hai vissuto questo periodo senza calcio?
«All’inizio forse abbiamo tutti sottovalutato la cosa, avremmo voluto tornare subito in campo e finire il campionato. Poi ci siamo resi conto della situazione e realizzato che fermarsi era doveroso. Per un mese mi sono fermato anche con il lavoro. E mi sono dedicato quindi di più alla famiglia, ai figli (ne ha due, un maschio e una femmina,  ndr); ho staccato la spina e riscoperto altri valori».
Ma non hai smesso di allenare…
«E’ vero. Mio figlio (ha 15 anni e gioca nel Mantova,  ndr) si è rotto il crociato. Ne abbiamo approfittato per lavorare insieme, così ha recuperato una buona condizione. Per lui, tutto sommato, lo stop è stato provvidenziale».
Hai dovuto fare anche il maestro?
«No, quello no. I ragazzi sono autonomi, con videolezioni e compiti hanno fatto da soli».
Resti in contatto con i tuoi giocatori?
«Ci sentiamo costantemente, fino a un paio di settimane fa mandavo programmi di lavoro. Ora basta, li ho lasciati liberi. La stagione è chiusa».
E con i dirigenti?
«Aspettiamo lo stop ufficiale, poi ci vedremo e parleremo a quattrocchi. Decideremo insieme cosa fare, scegliendo la soluzione migliore per tutti».
Lì, ormai, sei praticamente un’eroe…
«Il Garda è una società giovane, in tre anni abbiamo fatto grandi cose. La prima stagione, in particolare, è stata magica, tutto si è incastrato nel modo giusto. Abbiamo vinto il campionato contro ogni pronostico, facendo giocare i ragazzi del vivaio».
Possibilità di tornare a Mantova ce ne sono?
«Sì, non è un’eventualità da scartare, anzi, non mi dispiacerebbe. Dipende da cosa mi propongono. Quando scelgo una squadra valuto tante cose».
Qualcuno ti ha già chiamato?
«(intuiamo un sorriso). Che posso dirti? Niente di troppo serio, via».
Di allenatori ne hai avuti tanti: da chi hai imparato il mestiere?
«Mi vengono in mente Ragazzoni, Panizza. Ferro mi ha aiutato tanto nella fase del passaggio da giocatore a mister».
I tuoi ragazzi ti chiamano così, mister?
«Sì. Fuori dal campo siamo amici, ma dentro mi trasformo e faccio rispettare le gerarchie».
Si dice che i campionati potrebbero ripartire non prima di gennaio. La cosa ti spaventa?
«Più che altro dal punto di vista umano, significa che la situazione è ancora grave. Quanto al calcio, ci vorrà del tempo ma tornerà come prima. Magari con qualche difficoltà, con meno risorse, ma con la stessa passione. Siamo tutti sulla stessa barca, se ci sarà da fare un passo indietro, per rimetterla in sesto, lo faremo».