Il 24 ottobre di novantuno anni fa si è verificata una delle più gravi crisi economiche della storia, dovuta al crollo di Wall Street. Il cosiddetto “giovedì nero”, “Black Thursday in America” come è stato definito dal London Herald del giorno successivo, la prima giornata di grave allarme sui mercati culminata poi con il definitivo crollo del 29 ottobre, il “martedì nero”, che ha portato alla drammatica stagione della Grande Depressione.
Il Coronavirus, in Italia, ha messo a segno un altro “giovedì nero”, lo scorso 12 marzo, con il crollo di Piazza Affari che ha fatto registrare -16,92%, a 14.894 punti, record negativo di sempre in un sola seduta, superiore al ribasso del 24 giugno 2016, il giorno dopo la Brexit, quando la perdita finale è stata del 12,48%, e alle sedute seguite al crack di Lehman Brothers (-8,2%) e all’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre (-7,5%).
Tutte queste giornate hanno una caratteristica in comune: il collegamento ad avvenimenti che hanno cambiato il volto della storia globale.
Partiamo dagli Stati Uniti del ’29. In quanto primo paese a essersi ripreso dal primo dopoguerra, gli States erano diventati i maggiori esportatori di prodotti e beni primari, tanto che il 30% della produzione americana veniva esportata. Tra il 1922 e il 1929 il reddito nazionale statunitense era cresciuto in media del 4% all’anno, la produzione del 64%, i profitti del 76%, la produttività del lavoro del 43% e i salari del 30% con la Borsa di Wall Street che aveva, di conseguenza, raddoppiato il suo valore. Proprio lo sviluppo asimmetrico tra l’economia degli Stati Uniti, quella europea e la chiusura del mercato sovietico ha generato la crisi che ha portato conseguenze in tutti i Paesi occidentali. Gli States detenevano infatti il 45% della produzione industriale mondiale, diminuita in modo drastico fino a scendere del 70%. Tutti i Paesi industrializzati hanno subito una grande recessione con un enorme aumento della disoccupazione, il commercio mondiale ha iniziato a ridursi, spingendo gli Stati a politiche sempre più protezioniste.
Tornando ai record negativi italiani, invece, il secondo primato peggiore risale al 24 giugno del 2016, quando il listino principale di Piazza Affari è crollato del 12,48%, battendo il precedente record di -11,76% risalente al 16 giugno del 1981. In sole otto ore il Ftse Mib ha perso oltre 2.000 punti, scendendo a 15.723 a seguito del tracollo delle banche. Il giorno prima i cittadini del Regno Unito erano andati alle urne per il referendum sulla Brexit, votando a favore della fuoriuscita dall’Unione Europea e cambiando la storia del vecchio continente.
Al terzo posto tra le peggiori sedute degli ultimi trent’anni c’è quella del 9 marzo del 2020, ancora a causa del Covid-19 e della guerra del petrolio, con l’indice che ha lasciato sul terreno l’11,7%.
Quarto posto per la seduta del 6 ottobre del 2008, giorno in cui il Ftse Mib ha perso l’8,24% del suo valore e le Borse mondiali hanno bruciato quasi 445 miliardi di euro. Erano passate solo tre settimane dal fallimento di Lehman Brothers e i mercati avevano cominciato a rendersi conto che la più grande bancarotta della storia mondiale aveva già iniziato a mostrare le sue conseguenze sull’economia e l’industria, dando il via alla crisi mondiale. Nei mesi successivi la Borsa di Milano ha fatto segnare altri record negativi: il 10 ottobre -7,14%, sesta peggior seduta dal 1992, il 16 ottobre -6,78%, ottava peggior seduta.
In quinta posizione la giornata legata all’attentato dell’11 settembre del 2001, quando la Borsa di Milano ha segnato una chiusura del -7,79%, la prima di altrettante sedute negative: tre giorni dopo, il 14 settembre per esempio, il Ftse Mib ha perso il 6,68% (nona seduta peggiore).
Infine, il 1° novembre dello stesso anno un -6,8% con il nostro paese questa volta in piena crisi del debito sovrano. Pochi giorni dopo lo spread avrebbe toccato il record storico di 575 punti base e Silvio Berlusconi avrebbe rassegnato le sue dimissioni da Presidente del Consiglio. Ma questa è un’altra storia.
Tiziana Pikler