MANTOVA La Cisl Asse del Po ha organizzato una videoconferenza dove ha affrontato e discusso il tema spinoso della violenza di genere, con particolare riferimento al posto di lavoro come luogo in cui possono verificarsi gli atti più eclatanti di supruso nei confronti delle donne, e di mobbing più in generale. Insieme al segretario e alla segretaria generale Cisl Asse del Po, Dino Perboni e Patrizia Rancati, sono intervenuti Nicoletta D’Oria Colonna, responsabile della Caritas Cremona, Gaia Cimolino, Consigliera di Parità per la provincia di Mantova e Angela Alberti, responsabile “Donne Cisl Lombardia”.
Il dibattito è entrato subito nel vivo della questione andando a toccare punti particolarmente delicati di storie al limite del tollerabile, dove non c’è più una distinzione tra quello che è comprensibile umanamente e quello che non lo è, tra quello che è patologico o che è piuttosto specchio di un disagio sociale, che però ha radici profonde in una cultura machista che stenta a cambiare rotta.
«Indignazione è il sentimento che vorrei suscitare quando racconto certi episodi che mi sono stati riferiti, che ho vissuto insieme alle donne vittime di violenza» dichiara Gaia Cimolino. «Solo indignandoci riusciremo a scalfire stereotipi e pregiudizi che vanno avanti da sempre ormai. E’ importante, inoltre che le donne non si sentano abbandonate dopo che hanno fatto outing. Soprattutto nei luoghi di lavoro, se una dipendente dichiara di essere stata oggetto di maltrattamenti, rivolgendosi al nostro sportello troverà modo di adivenire ad un verbale di conciliazione con l’azienda in modo ufficiale, legale ed incisivo , anche se ottenuto in ambito extra-giudiziale».
Un altro aspetto che si è tenuto a sottolineare durante la conferenza è stato il ruolo della dei media e della stampa nel comunicare gli episodi di maltrattamenti e/o violenza. Spesso si insiste nel voler raccontare dettagli dell’abbigliamento della vittima, senza però indulgere minimamente in altrettanti particolari riguardanti il carnefice, come se essere in un modo o nell’altro dovesse essere una sorta di attenuante per eventuali atti di violenza. «Inaccettabile, – prosegue la consigliera di parità – anche il linguaggio stesso che usiamo per descrivere ruoli e mansioni denota una disparità di genere. Dire “segretario” implica un certo significante che non è altrettanto riconosciuto per il suo pari femminile “segretaria”».
La problematica è talmente tanto vasta e profonda che la conferenza si allunga oltre le due ore e mezza ma quello che in sunto emerge è che il percorso da compiere dev’essere fatto seguendo due filoni parimenti importanti: quello dell’informazione, che coinvolge tutti i mezzi di comunicazione, senza però dimenticare quello della formazione, intendendosi con essa scuola, famiglia e strutture educative di vario genere, che hanno il compito precipuo di compendiare canoni interpretativi non più in linea con i tempi correnti.
BB