False certificazioni, sotto accusa dipendente Asst e tre medici

MANTOVA Con la compiacenza di tre professionisti avrebbe presentato certificati medici in serie attestanti una grave patologia con relativa prolungata assenza dal lavoro e conseguente corresponsione dell’intero stipendio. Circa le accuse di truffa, aggravata dalla continuità del reato e violazione delle norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, erano così finiti a processo nel 2021 quattro persone: si tratta di una 69enne dipendente dell’azienda ospedaliera “Carlo Poma” di Mantova, all’epoca in servizio al presidio di Asola, il proprio medico di base e infine due medici entrambi in servizio al distretto socio sanitario di Asola. A carico di questi ultimi tre è contestata pure l’aggravante dell’aver commesso il fatto con violazione dei doveri inerenti a un pubblico servizio.
Gli episodi a loro contestati a vario titolo, risalivano nello specifico al periodo compreso tra il dicembre 2011 e il marzo 2017. Poco più di cinque anni in cui, secondo l’impianto accusatorio, gli imputati, in concorso tra loro e tramite artifici e raggiri, avrebbero indotto in errore l’azienda ospedaliera in più occasioni con conseguente grave danno economico per la stessa derivante dalla corresponsione del 100% dello stipendio. Azioni, consistite specificatamente nella presentazione da parte della dipendente dell’azienda ospedaliera di domanda di riconoscimento di grave patologia richiedente terapie, temporaneamente o parzialmente invalidanti o altresì, terapie salvavita ai sensi dell’articolo 11 del contratto collettivo nazionale di lavoro – comparto sanitario – allegando alla stessa i certificati del proprio medico di base, in cui veniva indicata quale diagnosi proprio il dispositivo del predetto articolo.
Quindi, successivamente, sarebbero entrati in gioco i due medici del distretto socio sanitario di Asola, i quali dopo aver accolto tali domande avrebbero rilasciato certificato di grave patologia in assenza di necessaria documentazione e senza operare alcun tipo di verifica inducendo in errore i dirigenti dell’Asst circa la sussistenza dei presupposti per ottenere il riconoscimento dello stato di grave patologia. Un modus operandi, stando alla tesi inquirente, che avrebbe comportato, in via presuntiva, un ingiusto profitto patrimoniale per la dipendente pari al compenso lordo e agli oneri a carico dell’azienda sanitaria con equivalente danno per l’ente pubblico datore di lavoro nella misura di 144.268 euro. Per quanto concerne invece gli ulteriori addebiti ascritti singolarmente ai quattro accusati questi afferiscono rispettivamente, l’aver giustificato l’assenza dal lavoro tramite presentazione, compilazione e rilascio di certificazione medica falsamente attestante una grave patologia.
Ieri, con le prime escussioni innanzi al giudice Raffaella Bizzarro, è dunque iniziata l’istruttoria dibattimentale del processo a loro instaurato. Chiamati nella circostanza a salire sul banco dei testimoni investigatori della polizia tributaria che al tempo avevano condotto le indagini del caso oltre a un dirigente dell’allora Asl (poi Ats) responsabile della gestione del personale. prossima udienza il 27 novembre.