Baltic sea Philarmonic eccellente a Verona

VERONA Belli, biondi, immensamente felici. Li guardi e non puoi far a meno di pensare che il miracolo della Baltic Sea Philarmonic, la sua formula vincente, stia proprio in quel connubio che rompe gli schemi e che finisce per portare nella ferrea disciplina delle file di un’orchestra giovanile la contagiosa ebbrezza dell’avventura. Da dieci anni, dalla sua fondazione, il suo carismatico direttore Kristian Järvi batte palmo a palmo i territori del grande Nord e ne cattura i migliori talenti per il suo magnifico vivaio. Qualche anno di entusiasmante trincea, prima di liberarli in volo verso una carriera nel più alto professionismo. Intanto, in quest’apprendistato a bottega, eccoli crescere, persone ed artisti, confrontarsi tra di loro quanto con le grandi pagine della letteratura sinfonica del passato e con le pietre miliari del nostro presente indicativo. A loro, alla loro contagiosa vitalità, Verona ha affidato lo scorso 4 settembre il compito di alzare il sipario del “Settembre dell’Accademia”, giunto alla sua trentesima edizione. Un avvio di stagione di grande suggestione, delineato sul filo rosso del cigno, animale caro ad Apollo, quale figura ispiratrice di magnifiche trasfigurazioni. “Nordic Swans” era infatti il titolo di un lungo itinerario che i ragazzi della Baltic hanno percorso in piedi, a memoria, con le sezioni smembrate e ricomposte a creare un amalgama sonoro di grande suggestione, orientandosi come esperti navigatori in mare aperto, con il loro luminoso talento come bussola interiore. Un viaggio che si apriva sul mondo di Arvo Pärt, sull’intimismo della sua saga nordica raccontata a mezza voce, nel silenzio cosmico rotto dal mormorio dell’acqua che scorreva su nastro, brulicante presenza sottesa alle voci degli strumenti. Un canto terso steso in orizzonti lunghi, cieli smarginati, tra confessione e presagio e sfociante nel misticismo di Sibelius, con lo struggente commiato dalla vita affidato alla voce del (bravissimo) corno inglese, tra bellezza ed agonia. Un’altra Baltic, rispetto alle scorse occasioni. Sempre agguerrita nella smaltata strumentalità (in questo giro meglio i fiati degli archi) ma ancor più dichiaratamente incamminata verso terre di mezzo, zone di confine tra linguaggi ed espressioni, dove amplificazioni e giochi di luci sono il valore aggiunto ad un ascolto immersivo, tridimensionale. Attesissima, tutta d’un fiato nella sua poderosa arcata di un’ora di musica, la suite da concerto da “Il lago dei cigni” di Tchaikovsky, elaborata dallo stesso Järvi: pannelli di un abbacinante polittico che il vulcanico temperamento del direttore rendeva affresco poderoso, tracimante, memorabile. Non un lago ma piuttosto un turbine di acque tumultuose, quello in cui gli straordinari cigni di questa orchestra si trovavano a nuotare, affiorando qua e là nelle loro spiccate singolarità. Strumento duttile e quanto mai pronto a cogliere ogni suggestione del suo capitano, la Baltic omaggiava il principe dei balletti della sua anima più selvaggia, fiera, indomita, cesellata con maniacale attenzione ai ritmi, agli impulsi interni, al battito di una creatura alata e straordinariamente viva. Applausi vivissimi da parte del pubblico in sala.