La tradizione del liscio (ora rivisitata) dei Casadei tocca Pegognaga

PEGOGNAGA Non un’orchestra ma l’Orchestra: quella per eccellenza che continua a scrivere la storia. Un cognome, Casadei, che è praticamente un brand: oggi al timone di questo transatlantico del folk all’italiana c’è Mirko, con cui la Voce ha parlato in vista del concerto dell’11 agosto a Pegognaga.
Mirko, partiamo proprio dalla data di Pegognaga: che serata sarà?
«Una bella tappa, il tour sta toccando tutte le piazze italiane, ma la Bassa è una zona che a noi piace, non vediamo l’ora di tornare a far ballare la gente».
Che tipo di spettacolo state proponendo?
«Uno show molto carico, molto vivo. C’è una grande energia, forte di oltre 90 anni di storia, ma capace di guardare al futuro. Procediamo nell’idea delle contaminazioni artistiche, come quelle con Paolo Belli, Simone Cristicchi, Roy Paci, Paolo Fresu».
Insomma, il liscio va a braccetto con più generi.
«Proprio così: stiamo nobilitando il nostro genere, rendendolo un po’ più pop. Certo, resta sempre una musica vera, dal sapore popolare e con lo spirito festaiolo. In questo momento di grande globalizzazione, rimarchiamo un po’ le nostre origini, ricordando chi siamo. Il liscio nasce in Romagna, ma è il ballo italiano, che funziona dal Trentino alla Sicilia».
Concedimi la battuta: il liscio è sovranista. Torniamo seri, come rispondono le nuove generazioni alla vostra musica?
«Il momento è molto buono per il folk, basta guardare cosa è riuscita a fare la notte della Taranta, portando centinaia di giovani al festival di un ballo ben più antico del liscio. Noi facciamo eventi anche in discoteche, non balere, sia ben chiaro, e la risposta dei giovani è ottima. Frutto delle contaminazioni. Certo, i fan più tradizionalisti non ne vanno pazzi, ma a noi piace rompere gli equilibri. Come fece mio padre Raul con Elio e le Storie Tese  per “La terra dei cachi” o come abbiamo fatto noi con i Modena City Ramblers proponendo “Romagna mia” in versione ska».
Che ricordi ti fa affiorare la nostra terra?
«Il mantovano è un bel territorio: ottime sagre, ottimo cibo. Il pubblico è di quelli più “tradizionalisti”, ma che non disdegna l’innovazione. Ho molta voglia di tornare lì da voi».
Peraltro avreste dovuto già venire per Sconfinart, ma la pioggia vi ha bloccato. A proposito, recupererete quella data?
«Assolutamente sì. Il mio amico Paolo Fresu mi ha parlato benissimo di questo festival; non possiamo mancare. Probabilmente verso la fine di agosto sentirete ancora parlare di noi nelle vostre zone».
Federico Bonati