Da Canneto a Quistello. Quei paesi con le Stelle

Quella volta, vent’anni fa, riuscii in pochi giorni ad incontrare e intervistare i direttori delle quattro Guide Gastronomiche più importanti d’Italia: Michelin, Veronelli, Touring ed Espresso. Vi ricordate quanto facevano testo? Si andava dove indicavano loro tra stelle Michelin e cappelli da chef. Se sentenziava una voce dal sen fuggita la Michelin era come una verità incontrovertibile. Allora, vent’anni fa, non c’erano i telefonini cosiddetti intelligenti come oggi che ti dicono dove e quando mangiare la fritturina o la tartarina con app che ti servono anche (quasi) l’aperitivo sotto l’ombrellone, ma ci si affidava alle sacre pagine delle guide cartacee. E Mantova e il Mantovano ne uscivano proprio bene già allora, proprio allora. Con una storia di cucina e di cuochi e cuoche ben consolidata. Grazie a Renzo Dall’Ara ho ricordi profumati cocenti ed inebrianti. Cappelletti in brodo e lesso con salsa all’aglio, l’anello di Monaco e il salame al cioccolato.
Da Canneto a Quistello da Goito a Mantova zona Sordello erano celebrati e recensiti i ristoranti con tante stelle. Borghi e piatti con stelle luminose. Dai Santini ai Tamani, dai Martini ai Bini sino al Bersagliere di Goito ecco i nomi celebrati delle recensioni e delle tendenze a tavola. Ci andavano industriali e politici, giornalisti di fama e di fame e critici d’arte e professori di storia non solo della cucina.
C’è chi è rimasto, c’è chi è cambiato, c’è chi ha chiuso, ma la storia rimane, in tutta la sua forza. Ricordo quegli anni, quei mesi in cui quando dicevi di essere mantovano i critici di gastro-empatia avevano gli occhi che si illuminavano e le palpebre spalpebravano. Ma te lo ricordi il tortello di Romano? E che sapori quel cappone alla Stefani dei Martini?!

In quel 2003 lessi con grande attenzione e curiosità la Guida delle Guide, ovvero la raccolta delle classifiche dei ristoranti d’Italia, facendo una media delle posizioni delle sette guide più importanti dalla Michelin all’espresso, e ho visto che la ristorazione mantovana è messa proprio bene. A cominciare dai campioni di Runate, i Santini, ai Tamani di Quistello e dai Bini di Mantova , dai Martini al Bersagliere di Goito, sino a tavole e fornelli non così famosi ma di tutto rispetto. Vere grandi imprese dello stile a tavola e in cucina e delle specialità ma anche singoli luoghi del buon mangiare con le pretese equilibrate. Magari ne parleremo. Oggi preme, tra ristoranti e cucine, parlare di atmosfere e ambienti e come una tavola in curva e una lavagna appoggiata a una colonna possono fare la differenza per il pubblico, per il richiamo per la fidelizzazione.

In due settimane ho incontrato e intervistato quattro direttori di guide gastronomiche. Restelli della Michelin Italia, la mitica rossa che assegna, con le stelle successi e malori, a chef di mezzo mondo, D’Innella della Touring che si preoccupa di coniugare piatti, ospitalità e territorio, il pirotecnico Vizzari della Guida Espresso sempre più radicata e rispettata e il giovane ma già ben piantato Gianarturo Rota della Guida Veronelli, un nome, un’emozione, una storia. Eh, il Veronelli con la sua prosa, con il suo racconto scritto e in tv. C’era sempre molto pubblico all’accademia bolognese dove i direttori dovevano raccontarci segreti e criteri delle pagelle date ai ristoranti, agli alberghi e ai piatti. Quante volte vanno gli ispettori? cosa guardano? quando e se ritornano? chi decide le tre stelle o i tre cappelli o il punteggio massimo, come fanno a mangiare e bere così tanto questi collaudatori di piatti per conto terzi? Parlare di cucina fa sempre colpo, adesso anche di più perché alla ricerca del gran piatto e del buon ristorante si unisce l’inevitabile necessità di coniugare la qualità al prezzo. E l’Italia non è certo tutta uguale. Diciamocelo: ci sono in giro per le nostre città (di meno) e paesi (di più) chef e ristoratori di grande grandissimo estro e pregio. Vietato far nomi altrimenti son guai. Ma proprio dalle nostre parti ad esempio sia Vizzari che Restelli, sia Rota che D’Innella hanno ammesso che è davvero facile mangiare all’altezza dei re. Quattro cinque locali, dalla bassa mantovana alla media padovana, stanno tra i primi dieci posti nazionali. Primo fenomeno da registrare: i grandi locali dei grandi piatti è più facile trovarli in provincia rispetto alle grosse città. Milano, Torino, Napoli e in parte anche Roma avevano perso le grandi tradizioni del passato in fatto di piatti insuperabili, e avanzavano o stanno sempre molto bene i Canneto, i Trebbo di Reno, i Quistello, le Calandre, le Stant’Agata dei due Golfi. Discorso a parte per Firenze dove vi sono eccellenze in qualche maniera uniche. Morale: palati con pretese destinazione provincia. Domanda ricorrente ai direttori delle guide: ma quando i ristoranti vanno su di stelle o punti o cappelli aumentano anche i prezzi? E, se lo fanno, succede con giustificazione?

Qualche direttore lo ammette. Tanti ristoratori, anche in sala, si sono quasi indignati e offesi. Eppure, eppure qualche cosa accade e non è sempre colpa dell’euro. Un gran piatto deve e puo’ costare. Calcolate –dicono in molti- che il ristorante è un’azienda con i suoi costi base, col personale, con la scelta accurata delle materie prime, con una sua cantina che non puo’ essere discreta ma superiore. Ma a volte -ribattono consumatori e critici- vi sono piatti o menù fuori logica. Rota propone di dividere nettamente nel conto il costo dei piatti da quello del vino. Vizzari chiarisce che mangiare è anche un’esperienza emotiva, si deve star bene di palato ma anche di sensazioni. Ammettono tuttavia che qualche mediocrità viene presentata come eccellenza e lì c’è il rischio boom. Nel senso di esplosione. Chef a tre stelle vanno bene se sanno mantenere il livello. Per uno stupendo “cozze con fagioli cannellini” o un “uovo in raviolo al burro fuso tartufato” proposto da Tony Mei con lo chef Odette Fada del San Domenico di New York in una recente cena di gala, non si devono guardare i dieci euro in più. Ma quando un piatto di verdure grigliate viene proposto a 18 euro non rimane che rabbrividire. Il vero rischio non è la catalana da 45 euro, ma il panino a 6 euro, con la mezza minerale a 5.