MANTOVA Nella Lega non c’è democrazia, ma forse non c’è nemmeno più la Lega stessa intesa come movimento di salvaguardia del nord. Lo va ripetendo a tambur battente Giovanni Fava su social e quotidiani online, lamentando la “brutalizzazione” del dissenso interno del carroccio, nel quale Fava stesso siede (ma ancora per quanto?) all’interno del direttivo federale.
«Ho le idee chiare da un pezzo su cosa non abbia funzionato. Ero solo in attesa di conferme. E sono arrivate nei giorni scorsi dalla autorevoli dichiarazioni di Giancarlo Giorgetti: “Nella Lega non c’è democrazia”. Tombola! Se è riuscito a dirlo uno dei soggetti più criptici del panorama politico contemporaneo, vuol dire che siamo arrivati al dunque». È questa la premessa di un Fava agguerrito e deluso, che in questi anni di segreteria di Matteo Salvini ha visto «brutalizzato il dissenso interno, vietato il dibattito e sostituito sistematicamente nei ruoli di comando (interni ed istituzionali) tutti coloro che avevano velleità di pensiero libero».
Da anni Fava sostiene di essere rimasto solo a cercare di rappresentare una posizione diversa all’interno di un movimento che nel frattempo ha cambiato pelle. «Sono stato ostracizzato, ostacolato e delegittimato in tutto questo tempo solo perché non piegato alla logica del “pensiero unico”. Il tempo passa e tutte le parabole prima o poi iniziano a invertire la tendenza».
Non indulge l’ex braccio destro di Bobo Maroni al Pirellone sugli «errori politici madornali di questi giorni», che a suo dire hanno solo accelerato un processo che cominciava a maturare da tempo. «Il dissenso, seppur tacitato, rispetto alla linea politica aumenta a dismisura e a velocità impensabile fino a poche settimane fa. In tanti (anche fra coloro che non sentivo da tempo) in questi giorni mi hanno cercato per chiedermi di ridare slancio alla corrente indipendentista della “Lega nord per l’indipendenza della Padania”. Credo sia necessario provare a rilanciare i grandi temi che hanno reso gloriosa la storia della Lega e che stanno ancora a cuore a molto leghisti veri», prosegue Fava.
Per lui si dà tassativo continuare la battaglia dall’interno del carroccio, «o perlomeno ci proverò fino a quando non mi cacceranno». La speranza è ridare a molti sostenitori ed elettori «un movimento che sia ancora quel sindacato territoriale, liberale e post-ideologico di cui il nord ha ancora tanto bisogno. Ci proverò perché ci credo e perché mi sono accorto che ci credono ancora in tanti. Nei prossimi mesi proveremo a organizzarci e strutturarci. E perché no, personalmente ci proverò anche per quei parlamentari, consiglieri regionali e sindaci con poco coraggio che mi chiamano e mi chiedono di dare un segnale, a chi come loro non ha la forza di mettere a rischio le proprie posizioni».
I rischi sono alti, e Fava lo sa, ma mette le mani avanti: «Non sarò solo stavolta, ne sono certo. Lo faremo in modo costruttivo per evitare una scissione dolorosa e dannosa in questa fase. Con la speranza che a volere la scissione non sia la maggioranza attuale. E in ogni caso garantisco che la battaglia per l’affermazione dei nostri principi andrà avanti. Certo se non ci vorranno saremo costretti a dialogare a chi usa il nostro linguaggio. Quello del lavoro e della libera impresa, contro quello del primato dello stato e soprattutto dello stato centrale», conclude Fava.