Cgia: imprese energetiche fanno guadagni ma al fisco non arriva quasi nulla

MANTOVA – Le imprese energetiche presenti in Italia, nei primi 5 mesi del 2022 hanno visto aumentare i ricavi, rispetto allo stesso periodo del 2021, del 60% mentre altre aziende, a causa dei rincari di luce e gas, sono a rischio chiusura. Lo rileva la Cgia che mette sotto la sua lente le attività industriali estrattive di materie prime energetiche e dell’industria della raffinazione. Con riferimento al periodo gennaio-maggio, la crescita del fatturato delle imprese del settore energetico nel 2019 è stata dello +0,5% sul 2018; poi, in piena pandemia i ricavi invece sono crollati del 34,6% (gennaio-maggio 2020 sul 2019); diversamente, nei primi 5 mesi del 2021 la variazione e’ stata del +19,6%. Quest’anno, infine, il fatturato ha subito una impennata del +60%. La Cgia osserva che nessuno chiede un accanimento fiscale contro le grandi imprese dell’energia: sarebbe ingiusto. Va infatti ricordato che non necessariamente ad un aumento del fatturato corrisponde un analogo incremento dell’utile. Non solo i settori energivori sono più a rischio degli altri. Per quanto riguarda il consumo del gas, le difficoltà sono riscontrate dalle imprese del vetro, della ceramica, del cemento, della plastica, della produzione di laterizi, la meccanica pesante, l’alimentazione e la chimica etc. Per quanto concerne l’energia elettrica, invece, rischiano il blackout le acciaierie/fonderie, l’alimentare, la logistica, il commercio (negozi, botteghe, centri commerciali, etc.), alberghi, bar-ristoranti, altri servizi (cinema, teatri, discoteche, lavanderie, palestre, impianti sportivi). A rischio il Cartario di Lucca-Capannori; Materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova; Metalli di Brescia-Lumezzane; Metalmeccanico basso mantovano; Metalmeccanico di Lecco; Piastrelle di Sassuolo; Terme Euganee; Termomeccanica Padova e Vetro di Murano.