MANTOVA Lesioni al capo compatibili con l’azione provocata da un corpo contundente atipico e non da un’arma da taglio, a differenza di quelle riscontrate alla gola, queste ultime inconfutabilmente riconducibili sì ad una lesività da lama ma, stando agli elementi di tempo e di luogo addotti dalla ricostruzione investigativa alla scena criminis, non addebitabili all’odierno imputato. Questa, in estrema sintesi, la conclusione del consulente tecnico di parte circa la morte di Anna Turina, la 73enne uccisa il 9 dicembre 2021 all’interno della propria abitazione a Malavicina di Roverbella e della cui morte è finito a processo, con la duplice contestazione di tentato omicidio e omicidio volontario pluriaggravato, il genero Enrico Zenatti.
A relazionare dunque, ieri pomeriggio in videocollegamento dagli Stati Uniti, la specialista medico legale incaricata di ulteriore consulenza peritale dai difensori del 55enne veronese, gli avvocati Silvia Salvato e Andrea Pongiluppi. Secondo il responso della dottoressa Sara Mantovani infatti, contrariamente a quanto stabilito in sede di esame autoptico dal dottor Nicola Pigaiani, (Ctp del pubblico ministero Giulio Tamburini), una parte delle lesività, ovvero quelle rinvenute a livello del cranio della pensionata sarebbero state dovute ad una caduta accidentale, in questo caso dalle scale, a fronte di un taglio non netto dei tessuti epidermici. «Definire tale lesione come scalpo – ha spiegato la consulente ai giudici della Corte d’Assise – risulta alquanto difficile. Non riscontro infatti scuoiature con incisioni da lama ma bensì traumi riconducibili ad un urto violento, verosimilmente dati dall’impatto contro uno dei gradini della scala che dal pian terreno conduce in cantina. L’anziana infatti, sulla scorta delle numerose tracce ematiche e biologiche rinvenute sul pianerottolo tra le due rampe, sarebbe inciampata nell’atto di risalire la rampa finendo dapprima per aggrapparsi al corrimano – trovato divelto nella parte terminale e in seguito riparato – per poi quindi battere la testa contro lo spigolo molto acuminato di uno dei gradini e scivolare infine all’indietro complice la sua imponente stazza, come da contusioni con scollamento del cuoio capelluto provocate da ecchimosi e non da ipostasi». Una tesi questa diametralmente discordante con quanto dedotto dal perito della pubblica accusa secondo cui, al contrario, tale ferita riportata al capo sarebbe stata perpetrata tramite incisione da arma bianca al nervo vago, con conseguente ampio scollamento del cuoio capelluto dalla teca cranica tramite trazione dello stesso. Per quanto concerne invece le altre lesioni, una parte di queste – nello specifico alle mani, al mento, al labbro e alla guancia – sarebbero state provocate sì dall’azione di un’arma bianca conseguentemente al tentativo di difendersi della donna dal proprio aggressore; così come pure circa la lesione letale, inferta dall’assassino tramite mezzo tagliente sul collo con recisione, a fronte di almeno sei tagli interni o cosiddette “codette”, della carotide e della vena giugulare. In quest’ultimo caso però, secondo il perito della difesa, non sarebbe potuta essere stata di Zenatti la mano omicida. «Dagli schizzi di sangue sul soffitto si evince infatti che la vittima era in piedi e non seduta come appurato in sede d’indagine, inoltre le ferite al collo possono essere state inferte quantomeno in un minuto anziché una manciata di secondi, e solo tramite un grosso coltello da cucina impossibile da occultare alla vista delle altre due persone presenti (i due figli della 73enne – ndr) in quei concitati istanti». In definita, rispondendo a precisa domanda del presidente della Corte Enzo Rosina, il medico legale ha escluso che le coltellate siano state inferte prima dell’arrivo sul posto dei familiari, e quindi solo successiva all’arrivo in casa della figlia.