Il Foro mantovano piange l’avvocato Marco Lovatti

Insigne civilista e penalista, ma soprattutto uomo di cultura

MANTOVA Ha destato profondo cordoglio la notizia della scomparsa dell’avvocato  Marco Lovatti, professionista apprezzato per il suo eclettismo che lo portava a scavalco di tutti i rami della giurisprudenza, dal civile al penale o all’amministrativo, ma anche per il suo straordinario dinamismo intellettuale. Lovatti si è spento l’altro ieri in città a 69 anni dopo avere lottato strenuamente due anni contro un male che non perdona.
Nato da una famiglia romana di architetti per lunga tradizione, Lovatti aveva tuttavia preferito deviare dal solco scegliendo la strada del diritto, che lo portò alla laurea in giurisprudenza all’università di Modena. In breve ha saputo farsi strada approdando agli studi prestigiosi della città che adesso univano alla loro anche la sta targa. Molti anni ha lavorato nello studio Biancardi, sopra l’Ariston, prima di passare in via Chiassi assieme a Fernanda Olivieri. E in tutte queste situazioni egli ha sempre dato prova di destreggiarsi fra settori che parrebbero quasi inconciliabili nell’ambito della professione. Non per lui, che passava con straordinaria disinvoltura e competenza dal civile al penale, sono anche alle gestioni delle brighe condominiali.
Negli anni ’90 aveva tentato anche di interessarsi alla politica, ma sempre dalla visuale dell’uomo moderato che si appassiona, ma sa anche fare un passo indietro quando lo sforzo non vale il rendimento. Eletto consigliere comunale nelle fila della Lega Nord nel 1996, nel 2000, alla scadenza del mandato ha deciso di non ritentare più l’avventura, pur rimanendo in affiatamento col carroccio, al punto da assumere la difesa delle camicie verdi indagate dal procuratore veronese Papalia. «Fece un’arringa da strappare gli applausi in quell’occasione», lo ricorda il collega di partito e di professione  Cataldo Giosuè.
Ma sarebbe limitativo parlare di lui solo ricordandone gli aspetti professionali. Lovatti diede grandi prove di acume anche come studioso. In particolare della storia, della quale era cultore accanito. «Un giorno gli prestai i 12 volumi delle memorie di Churchill – ricorda ancora l’avvocato Giosuà –, e lui se li lesse tutti restituendomeli puntualmente commentati e persino contestati in alcuni punti dove la narrazione non risondeva alla realtà storica». E così come era amante della storia moderna, dal pari si destreggiava anche in quella antica arrivando a contestare certe forme di case nel celebre presepio allestito dai frati in San Francesco, e aiutandoli a costruirne altre più fedeli alle costruzioni del tempo in Palestina.
Non solo. Il suo spirito goliardico lo portò persino a farsi ignoto protagonista di un clamoroso “falso storico”, sul modello dei falsi modigliani di Livorno. Durante gli scavi del Forcello, interrò una falsa statuetta “etrusca” comperata a Roma, che subito destò euforia negli archeologi, prima che altri esperti la riconoscessero per una bravata: «Quella statuetta ce l’aveva messa lui. Oggi possiamo rivelarlo», conclude l’avvocato Giosuè.