MANTOVA – Dopo la pausa estiva è ripreso ieri mattina nell’aula bunker del carcere bolognese della Dozza il processo nato dall’operazione “Grimilde” contro le infiltrazioni dell’ndrangheta al nord. Nello specifico la seduta di ieri ha visto l’avvio delle arringhe difensive per i 47 imputati che in via preliminare aveva scelto di avvalersi di riti alternativi. Tra loro anche il palermitano 52enne Filippo Mattiolo, ufficialmente residente nel Parmense ma di fato domiciliato a Viadana, accusato in concorso con Salvatore Grande Aracri (figlio di Francesco e nipote di Nicolino ritenuto il boss della cosca di Cutro) e Michele Mattiolo di trasferimento fittizio di valori e associazione a delinquere di stampo mafioso. Reati questo per cui lo scorso luglio il pubblico ministero della Dda felsinea Beatrice Ronchi aveva chiesto la condanna del 52enne di stanza nel Mantovano a 3 anni di reclusione. Nello specifico, stando all’imputazione, Grande Aracri nel 2011 al fine di eludere le disposizioni di legge circa le misure di prevenzione patrimoniali e agevolare così la commissione di reati quali ricettazione, riciclaggio e autoriciclaggio, attribuiva fittiziamente agli altri due la formale titolarità della società Interfood Sas, con sede a Parma, e dedita al commercio all’ingrosso e al dettaglio di prodotti alimentari, essendone invece lo stesso Grande Aracri l’effettivo titolare. Le sentenze in questo caso sono previste per il 26 ottobre.