Claudio Baglioni: dodici note, mille emozioni

MANTOVA Il palco spoglio, il pianoforte, l’intro inconfondibile di Solo e… “lascia che sia tutto così”. Ci impiega pochissimo Claudio Baglioni a sciogliere il Teatro Sociale, nel terzo concerto del suo mastodontico tour “Dodici Note Solo”, 60 date su e giù per l’Italia. In 800 (tutto esaurito) sono accorsi per questo autentico gigante della musica italiana, capace di rinnovarsi negli anni pur mantenendo una cifra stilistica perfettamente riconoscibile. “Solo”, dunque: come il brano del 1977 (splendido) con cui ha deciso di aprire il concerto di ieri sera; e come la modalità che ha scelto questa volta per donare al pubblico la propria arte. “Solo” sul palco, senza musicisti e senza orpelli. Con lui tre pianoforti: uno acustico-digitale, una tastiera e un clavinova”.
Il resto è affidato alla sua voce, che a 70 anni resta un prodigio: potente, evocativa, assolutamente originale. «Mi chiamo Claudio e da tre anni non faccio concerti»: sceglie queste parole per rompere il ghiaccio ed è una frase che sintetizza perfettamente l’epoca balorda che viviamo. Ma, proprio perchè c’è tanta voglia di musica, le parole vengono relegate ad un ruolo marginale. Si canta, ma soprattutto si ascolta. Il secondo brano è Io dal mare, che nella versione originale si fregiava della delicata chitarra di Pino Daniele. Baglioni alterna successi e brani meno noti, abbracciando 50 anni di carriera sempre vissuti ai vertici delle classifiche. Ridotte all’osso, le canzoni non godono della maestosità dell’orchestrazione ma guadagnano in essenza. Senza perdere un briciolo di identità: vedere per credere la risposta del pubblico su Strada facendo, cantata praticamente in simbiosi col Divo Claudio (che ringrazia). Passano in rassegna alcune delle perle degli anni ’80: da Fotografie a I vecchi, passando per Uomini persi, mentre sul finale di Tutto in un abbraccio Baglioni allarga le braccia verso il pubblico, che ricambia con applausi fragorosi. Non mancano gli episodi dell’ultimo album: Mal d’amore e Io non sono lì i più riusciti, ma la preferita del nostro sembra essere la scanzonata Uomo di varie età, praticamente la storia della sua vita. Certo quando partono i classici non c’è storia: E tu come stai, Amore bello, Questo piccolo grande amore, Con tutto l’amore che posso generano strabordante entusiasmo. È vero: qualche hit manca, ma a inserirle tutte lo spettacolo sarebbe durato una settimana. E comunque il finale è un crescendo di rara intensità, che tocca l’apice con tre gioielli entrati di diritto nella storia della canzone italiana: la gigantesca Mille giorni di te e di me (con una parte finale sempre più ostica anche per le potenti corde vocali del suo autore), al termine della quale Baglioni lascia il palco; Avrai, la più bella canzone dedicata a un figlio; E tu, perfetto esempio di brano impermeabile al tempo che passa. Siamo già in “zona bis”, ma c’è un ultimo regalo: uno slogan, un manifesto di consapevolezza che invita a valorizzare ogni attimo dell’esistenza, anche il più apatico e apparentemente frivolo. È l’invito a “non lasciare andare un giorno per ritrovar te stesso… perchè la vita è adesso”. Trionfo assoluto.