Wole Soyinka: “Nel Mediterraneo muoiono migliaia di persona, ma nel Sahara molte di più”

MANTOVA Parole pesanti come macigni. Sono quelle di Wole Soyinka, poeta e drammaturgo nigeriano, Premio Nobel per la letteratura nel 1986. 

Qual è il ruolo della letteratura nella società odierna?

“Un ruolo importante come tutte le arti, dalla pittura alla scultura, perché hanno una forza creativa. Anche l’istruzione, la scuola ha un ruolo fondamentale avendo il compito di ridurre la differenza di genere. Quando le religioni che discriminano uno dei due generi acquisiscono rilevanza la scuola dovrebbe aver già generato una barriera”.

Cosa pensa dell’oppressione della donna nella nuova ondata di integralismo che stiamo vivendo?

“Tutte le istituzioni che approvano una parte della popolazione rispetto a un’altra sono deplorevoli. Non importa che la discriminazione venga fatta sulla base di un’appartenenza a una classe sociale, per nascita o tra indigeni e coloni o indigeni e migranti. In tutti i casi le istituzioni avvalorano le discriminazioni. Questo include anche le culture tradizionali, di cui sono sempre stato un grande sostenitore. Anche le pratiche tradizionali discriminano e hanno portato all’oppressione. Per esempio, ho letto un breve racconto di una ragazza dedicato alle tradizioni della sua bisnonna, quindi usi di circa settant’anni fa. Allora le donne nel periodo delle mestruazioni non dovevano uscire dalla capanna, dove dovevano anche defecare, non potevano entrare in contatto con nessun’altro essere umano, non potevano andare al mercato. Praticamente erano considerate sporche. Nello stesso racconto si parlava della necessità di sottoporre le bambine alla circoncisione, pratica abominevole. Le giovani che non venivano circoncise non avrebbero potuto sposare un membro della comunità ma solo un intoccabile. Cosa voglio dire? Ogni società ha bisogno di un gruppo da vittimizzare, da considerare inferiore. Perché questo permette agli altri di sentirsi superiori e soddisfatti dalla loro condizione di superiorità? Non lo so. Però la resistenza alle pratiche discriminatorie nasce comunque all’interno della società. Non dovremmo più sorprenderci. Sono situazioni che, storicamente, abbiamo vissuto in tutte le epoche. Adesso queste discriminazioni sono incentrate anche sulle donne. L’obiettivo deve essere iniziare a dialogare come essere umani, uguali tra loro”.

Cosa pensa dell’immigrazione e della politica dei porti chiusi?

“Questa è un’altra cosa. È l’incapacità di vedere degli esseri umani bisognosi come altri esseri umani più sfortunati di noi e poi trasformare questa incapacità in ideologia, adducendo anche la purezza della natura o questioni economiche. Così si ergono i muri contro le orde in arrivo. Storicamente la maggior parte dei paesi che oggi si sentono minacciati hanno delle responsabilità nelle origini di queste migrazioni. La non riconoscibilità della responsabilità storica è grave quanto la responsabilità coloniale e lo sfruttamento economico. Prima o poi, tutte queste colpe tornano al mittente. Per risolvere la situazione occorrerebbe un dialogo strutturale, serio da intraprendere con urgenza tra le nazioni verso cui si dirigono e da cui provengono le ondate migratorie. Ci sono migliaia di persone che muoiono nel Mar Mediterraneo ma ce ne sono molte di più morte nel deserto del Sahara o che vengono vendute in schiavitù. Ci sono tanti altri campi di morte lungo questi tragitti, il Mediterraneo è solo quello più visibile grazie ai media”.

Cosa sta causando questa diaspora africana?

“Stiamo subendo una gravissima fuga di cervelli. Tra quelli che annegano e quelli di cui si rinvengono solo le ossa essiccate dal sole nel Sahara, stiamo perdendo enormi risorse attuali e future. Lo dimostra il fatto che molti di coloro che ce la fanno e arrivano nella cosiddetta terra promessa, si distinguono e ottengono successi personali come imprenditori, medici, ingegneri e riescono a mantenere anche le famiglie d’origine. In Nigeria, durante il periodo della dittatura, è stata formata una task force per capire come riportare in patria i giovani che se n’erano andati. Ebbene, il risultato è stato che non è stata riconosciuta nessuna fuga di cervelli. Anzi, era la Nigeria che stava aiutando gli altri paesi, donando loro i nostri giovani migliori”. 

Cos’è la speranza per Wole Soyinka?

“Ho dimenticato quella parola decenni fa. Sono un pragmatico, cerco di capire come salvarci dalla situazione attuale, in Africa come altrove, perché è un gran casino sia che si parli di clima, di Brexir, di migrazioni e di integralismo islamico”.