MANTOVA Una conversazione con Enrico Ruggeri non è mai banale. L’occasione viene dalla data zero del nuovo tour, che il cantautore milanese terrà al Teatro Sociale di Mantova venerdì 31. “Rouge” è artista dalle mille sfaccettature (cantante, musicista, autore, scrittore, conduttore televisivo e radiofonico), uno di quelli che non ha paura a esprimere le proprie idee, in un’ambiente fin troppo omologato come quello musicale.
Enrico, che concerto sarà quello del 31?
«Non teatrale, a dispetto della splendida cornice che ci ospiterà. Sarà uno spettacolo studiato per spazi all’aperto. Il pubblico ascolterà 10-12 pezzi “immancabili” e altri estratti soprattutto dal mio ultimo album La rivoluzione».
Dunque un concerto tirato?
«Molto tirato. E, ci tengo a dirlo, tutto suonato dal vivo. Il che, oggi come oggi, è una rarità. Nessuna sequenza, nessun campionamento, nessun suono dal computer. Non avrò nemmeno le “cuffiette” nelle orecchie».
Non le piacciono?
«Non ne vedo l’utilità. Le “cuffiette” hanno prodotto una generazione di stonati. Prendiamo Sanremo e la sua grande orchestra: non sento gli archi? Mi avvicinerò ai musicisti per sentirli meglio. Idem con gli altri strumenti. Non c’è bisogno di nessun auricolare».
Forse i giovani d’oggi non conoscono i trucchi del mestiere…
«Capita quando si passa in un attimo da X Factor al Forum di Assago».
Perchè ha scelto Mantova?
«È una città che conosco benissimo e mi vede spesso ospite. Ho amici mantovani. E poi c’era questo teatro meraviglioso disponibile».
Più di 40 anni di carriera: come riassumerli in poche parole?
«Ho sempre cercato di seguire il mio percorso, esprimendomi secondo la mia indole e dicendo quel che avevo da dire. Remando controcorrente, senza piegarmi a schemi prestabiliti».
C’è una parola che ricorre nelle sue canzoni: curiosità. Dove la porterà ancora?
«Sono… curioso di saperlo anch’io. Dopo 39 album e 40 anni di tournée, è bello trovare stimoli che ti spingono a creare nuova musica. È quello che faccio nel mio studio d’incisione, divertendomi».
È stato anche conduttore televisivo: quale trasmissione rifarebbe?
«Il bivio, molto stimolante da affrontare. E Una storia da cantare, che fece ottimi ascolti al sabato sera nonostante la concorrenza della De Filippi».
Quale sua canzone canta più volentieri?
«In questa fase mi piace La rivoluzione, un pezzo intenso. E poi ci sono brani storici, come Contessa, che se provo a toglierli dalla scaletta rischio l’incolumità».
Quale canzone invece merita di essere “riscoperta”?
«La prima che mi viene in mente è Il volo su Vienna. Anzi, quasi quasi la inserisco nel live di Mantova».
Tra le tante collaborazioni, quale ricorda con maggior affetto?
«Quella con Andrea Mirò a Sanremo per Nessuno tocchi Caino. E quella con Midge Ure, sempre al Festival, per Lettera dal Duca».
E tra i brani scritti per altri, a quale è più legato?
«Il mare d’inverno, parole e musica tutte mie. Più ancora che Quello che le donne non dicono».
Le piace la musica di oggi?
«Diciamo che, se voglio ascoltare la musica che piace a me, vado a casa e metto Emerson, Lake & Palmer».
Cosa manca ai cantanti di oggi?
«Il coraggio. Non si sperimenta più perchè sono tutti terrorizzati di non passare in radio».
Chiudiamo col calcio, altra sua passione: lo sa che il Mantova se la passa male?
«Gli auguro di salvarsi perchè è una squadra storica. E poi a Mantova è nato uno degli eroi della mia infanzia: Roberto Boninsegna. Ce ne fossero ancora come lui!».
Gabriele Ghisi