MANTOVA “Una presa in giro che dimostra la totale mancanza di conoscenza del nostro settore”. E’ il commento di Fipe-Confcommercio Mantova al nuovo calendario di chiusure in vigore dal 7 al 15 gennaio, che concede ai pubblici esercizi la possibilità di rialzare le serrande per due soli giorni, il 7 e l’8 gennaio e solo fino alle 18.
“Stimiamo che 8 esercizi su 10 non riapriranno perché non ne varrà la pena – afferma il numero uno dell’associazione Giampietro Ferri – riavviare l’attività richiede tempo e una certa preparazione per riattivare la linea produttiva; inoltre lavoriamo con materie prime deteriorabili in pochi giorni, che se non utilizzate, vanno buttate. Purtroppo sembra che queste dinamiche non siano molte chiare al Governo. Presumibilmente riapriranno i locali di piccole dimensioni o che lavorano molto con i pranzi di lavoro: per gli altri il gioco non vale la candela, le spese supererebbero gli introiti e non è proprio il momento di sprecare risorse. Il nostro settore è gravemente compromesso dai passati provvedimenti e dal forzato lockdown di Natale – continua Ferri – stimiamo un crollo di fatturato nel 2020 del 60%. Ora serve un piano organico di interventi per le imprese della ristorazione, che contribuiscono in modo determinante all’economia e all’immagine del Paese, nonché al successo delle filiere strategiche legate al turismo e all’agroalimentare italiani. Gli indennizzi finora arrivati sono insufficienti, e il differimento delle scadenze fiscali, a fronte di introiti azzerati, è una beffa”.
“Questo apri e chiudi a singhiozzo è deleterio per le aziende, perché impedisce di avere una progettualità e gestire il personale e le derrate in maniera fluida. Tutto diventa estremamente complicato e impegnativo – aggiunge Vanni Righi, in rappresentanza dei ristoratori di Confcommercio – Fare magazzino oggi è un terno al lotto perché non si ha la minima idea di quanti clienti verranno nel locale. Le persone – strette tra la paura del contagio e la confusione tra ciò che è permesso e vietato – sono disorientate. Per quanto riguarda il delivery, il successo del primo lockdown si è molto sgonfiato: non c’è più l’elemento della novità e l’entusiasmo è scemato. Ricevere il cibo a casa non è come consumare il pasto al ristorante, che è anche un’esperienza sociale; infine la qualità del cibo da asporto non sarà mai paragonabile a quella della pietanza cucinata e consumata sul momento”.
Un discorso leggermente diverso va fatto per i bar, di norma esercizi più piccoli e più flessibili sotto il profilo organizzativo: “è giusto che chi può e ne trae vantaggio possa riaprire, anche per dare un segnale alla cittadinanza – afferma Mattia Pedrazzoli, presidente di Fipe-Bar – il momento è davvero drammatico ma siamo determinati a resistere”.