MANTOVA Sono 21 le famiglie ucraine accolte finora dalla Caritas diocesana mantovana, in tutto 66 persone. Tutte donne e bambini, un solo uomo non arruolabile in quanto in precarie condizioni di salute che è riuscito comunque a raggiungere l’Italia con la sua famiglia.
Dall’altro lato ci sono le 150 famiglie del territorio che si sono rivolte alla Caritas per dare la loro disponibilità all’ospitalità. Le famiglie di profughi al momento sono alloggiate in seminario, negli appartamenti delle canoniche, degli oratori e un paio in coabitazione, una a Dosso del Corso e una in città. “Sono le situazioni più fragili perché presuppongono un grande adattamento da ambo le parti”, spiega Matteo Amati, direttore della Caritas, “stiamo censendo le famiglie per procedere alla loro profilazione. Al di là della prima emotività, che spinge a rendersi disponibili, ci sono anche i costi dell’accoglienza da valutare. Per esempio, per chi ha messo a disposizione parti di appartamenti o case sfitte bisogna capire chi paga le utenze, soprattutto in questi tempi di rincari delle bollette: c’è chi è disposto a sostenere anche quelle e chi invece non può”.
Per questo lavoro di censimento e profilazione serve tempo.
“Stiamo ricevendo telefonate da persone che si lamentano di non essere state ancora ricontattate dopo aver comunicato la loro disponibilità”, prosegue Amati, “chiedo loro di avere pazienza, pian pianino arriveremo a tutti. Solo la prima telefonata di approccio e conoscenza dura circa venti minuti. Poi ci sono i volontari che si recano a fare visita alle famiglie per una vera presa di coscienza di quello che si sta facendo”.
Sono i parenti, gli amici e i conoscenti dei profughi a contattare la Caritas per annunciare gli arrivi. “In tanti casi sono sorelle, fratelli, cugini o nonne con bambini che si ricongiungono a mamme che lavorano già nel nostro territorio”, continua Amati, “per questo a livello burocratico, dopo le informazioni che forniamo loro su quello che occorre fare, spesso procedono alle pratiche in autonomia o accompagnati dalle famiglie che li ospitano”.
In Ucraina solo il 30% della popolazione ha concluso il ciclo vaccinale anti-Covid. “Questo è un altro aspetto sul quale bisogna essere chiari”, aggiunge Amati, “le persone che ospitano devono scegliere in totale autonomia come comportarsi in caso di una mancanza di vaccinazione”. L’appello è quello di continuare a cercare alloggi disponibili. “Il numero di profughi che sta lasciando l’Ucraina è enorme”, conclude Amati, “prima o poi arriveranno da noi anche persone che non hanno rapporti con il territorio. E poi, conclusa la fase emergenziale, bisognerà costruire una parvenza di normalità. Alcuni bambini sono già stati iscritti a scuola ma cosa faranno quest’estate?”.
Tiziana Pikler