Da matusa a boomer, Cevoli racconta come si diventa nonni

Paolo Cevoli (ph. Alessio Tarpini)

MANTOVA “Andavo ai 100 all’ora” cantava Gianni Morandi nel suo primo singolo. Era il 1962 e in quegli anni andare ai 100 all’ora sembrava una gran velocità! Oggi se si va in autostrada a quella andatura ti suonano dietro, anche i camion che trasportano letame”. Il monologo di Paolo Cevoli è uno spaccato di vita di una volta e la realtà del giorno d’oggi. “Noi siamo boomer, ma una volta ci avrebbero chiamati matusa”. Una frase che fotografa alla perfezione lo spettacolo del comico romagnolo per lo più incentrato sul cambiamento dei tempi, uno dei cavalli di battaglia dei comici di oggi.
Tuttavia, a differenza degli altri, Cevoli ha dalla sua una mimica facciale e una gestualità uniche che fanno il paio con quell’accento romagnolo in grado di farti ridere anche di fronte alla battuta più scontata. La comicità di Cevoli è meno volgare di quella di Giacobazzi, che a volte della volgarità ne abusa cavalcando l’onda della parolaccia che deve per forza far ridere. Certo, anche Cevoli nel suo monologo pesca molto nel torbido, ma sembra meno spigoloso, forse più scontato, ma decisamente più godibile.
Cevoli racconta se stesso, la sua famiglia, i suoi esordi, i figli e poi i nipoti. Uno o più aneddoti per ciascuna situazione tra cui quella degli esordi. Da Riccione a Bologna, “dal sud al nord”, dove in un locale con tre soci Cevoli si occupa del raccontare cavolate ai clienti (“era un hobby, niente più”). Quelli di Zelig lo invitano in televisione “perché i minchioni come me li cercano c