Belfanti: stangata ridotta in appello da 6 anni e 9 mesi a 5 anni

MANTOVA Cinque anni di reclusione, contro i sei anni e nove mesi della sentenza di primo grado. È quanto deciso ieri dai giudici della II Sezione penale della Corte d’Appello di Brescia nei confronti di Piervittorio Belfanti, a giudizio per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all’evasione fiscale. Stangata ridotta, ma pur sempre stangata per Mister Ristoranti. «Un verdetto», quello emesso dal collegio presieduto dal giudice Giulio Deantoni «che non ci ha fatto certo piacere» commenta l’avvocato  Gianfranco Abate, difensore di Belfanti, che ora attende di potere leggere le motivazioni di questa sentenza, che saranno depositate tra 90 giorni, prima di presentare ricorso in Cassazione. I giudici della Corte d’Appello hanno di fatto parzialmente riformato la sentenza di primo grado, per la quale il procuratore generale chiedeva invece la conferma contro la richiesta di assoluzione dei difensori, senza però concedere ulteriori attenuanti o né far cadere parte delle accuse. Belfanti è stato dunque riconosciuto colpevole anche in appello dell’accusa di associazione a delinquere. Contestualmente, a Belfanti era già stata riconosciuta in primo grado la recidiva specifica mentre per quanto concerne il periodo di consumazione del reato questo era stato determinato in un lasso temporale compreso tra il gennaio 2013 e il 27 giugno 2017, data quest’ultima dell’arresto di Belfanti, a fronte di un periodo contestato dalla procura fatto risalire al 28 luglio 2011, giorno di costituzione della concessionaria Gold Car. L’inchiesta era nata nell’ambito dell’operazione “Formula” che nel giugno del 2017 aveva portato ad indagare 17 persone, 11 delle quali sottoposte a misura cautelare. Uno scenario quello ipotizzato dagli inquirenti che portava fuori dai confini nazionali. In Italia il meccanismo sarebbe ruotato principalmente attorno all’ufficio di via Spalti a Cittadella. Alle vittime dei raggiri sarebbero stati rifilate vetture d’importazione tedesca esenti dal pagamento dell’Iva con chilometraggi palesemente taroccati, stratagemma questo utilizzato per lucrare sul prezzo finale. Secondo l’impianto accusatorio dunque i responsabili della concessionaria sarebbero stati gregari orchestrati direttamente da Belfanti, indicato come vero titolare dell’autosalone. Nel processo che si era concluso a Mantova il 28 febbraio 2019 la pubblica accusa aveva chiesto per Belfanti la condanna a dieci anni di reclusione.