Foto porno di minori: condannato a un anno

MANTOVA Si era fatto inviare delle foto a luci rosse da una ragazza mantovana con cui aveva contatti tramite una chat Lei all’epoca dei fatti era minorenne. Lui, invece, mantovano pure lui ma residente a Castelmassa, di anni ne aveva 25 anni. Era il 2013 e due anni dopo questo scambio di immagini era stato oggetto di un’indagine dei carabinieri di Gonzaga, che avevano sequestrato a casa del giovane un computer fisso, un portatile e una memoria esterna, una “pen drive”, dai quali un consulente informatico della procura di Brescia ha fatto emergere oltre 30mila immagini tra le quali ce n’erano anche di tipo pedopornografico. La vicenda dello scambio di immagini con la minorenne era stata archiviata dalla Procura di Mantova, perché sarebbe emerso che lei si fosse dichiarata maggiorenne e che questo apparisse credibile, nonché che non vi fossero state costrizioni nel farle inviare foto di lei nuda, che aveva mandato spontaneamente. Per il materiale trovato nelle memorie informatiche, però era stato aperto un altro fascicolo d’indagine, questa volta dalla Procura di Brescia, per detenzione di materiale pedo-pornografico, reato di competenza delle Procure distrettuali; competenza che è poi passata alla Corte d’Appello di Venezia che ha istituito un processo che si è concluso l’altro ieri di fronte al Collegio del Tribunale di Rovigo con la condanna dell’imputato,  Nicola Pellicciari, 31enne di Castelmassa a un anno di reclusione, pena sospesa. L’accusa, sostenuta dal Pm Elisabetta Spigarelli, aveva chiesto una condanna a tre anni e mezzo di reclusione, ritenendo provata la consapevolezza nel detenere materiale pedopornografico. Dal canto suo la difesa, sostenuta dall’avvocato Marco Petternella, del Foro di Rovigo questa consapevolezza non sarebbe stata affatto provata. Posizioni messe a confronto in aula dalla relazione dei due periti informatici sentiti come testimoni. Il consulente tecnico della procura ha spiegato che la mole di immagini pedopornografiche trovate renderebbe poco credibile la tesi dell’inconsapevolezza. Dal canto suo il perito della difesa ha spiegato come il download massiccio possa portare a scaricare anche involontariamente contenuti che poi si rivelano pedopornografici e ha anche aggiunto che molte immagini erano state cancellate e per recuperarle il consulente dell’accusa aveva dovuto impiegare dei software molto sofisticati il cui uso denota una conoscenza alivello informatico superiore a quella di un normale utente. I giudici hanno accolto in parte le tesi dell’accusa condannando il 31enne a un anno di reclusione, pena sospesa. Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra 90 giorni.