La sorpresa dello storico per il grana sul “gras pistà”

MANTOVA Che soddisfazione stupire uno storico che sa tutto, dico io anche se lui non vuole, della cucina mantovana e della sua lunga potente intensa storia. Ebbene sì, a tavola ho stupito Giancarlo Malacarne con una operazione per me normale, quasi automatica e per lui non solo straordinaria ma “mai vista”.

Oh, perbacco. E anche per dindirindina. E quale sarà mai questa operazione gastro-conviviale del Mantovano così speciale? Una spolverata di formaggio grana, Parmigiano o Padano a vostro piacimento, sul gràs pistà. A sua volta, il gràs pistà, spalmato come una soave crema panna con striature arancio della venatura propria e di verde se aggiunto un tocco di prezzemolo, su una accaldata o rovente tigella.

Che occhi, che sguardo quando appoggiata una cucchiaiata di grasso ben amalgamato su una tigella caldissima ho spruzzato due cucchiaini di grana!

Un argomento e un piatto tipicamente estivi. Beh, in fondo noi mantovani siamo abituati all’estate con i prodotti del maiale.

Andando per Ferragosto alle Grazie si incontra anche la devozione per il cotechino, con quelle mattinate che cominciano assai presto con le messe dell’alba, ovvero dell’aurora, e poi vanno avanti al suon di un panino con la fetta di cotechino che a volte è più alta del panino e i bene in formati dicono che se il cotechino “al taca sota i bafi” (attacca sotto i baffi) è un gran cotechino. Misteri e miracoli della Bassa e delle Grazie dove la devozione sincera e storica per la Madonna delle Grazie, visitata nel 1991 dal Papa, San Giovanni Paolo Secondo, e grande devozione per il Santuario che si erge sul lago Superiore, si uniscono alla sincera e saporita passione per il cotechino. Con fagioli o senza.

Quindi non c’è da meravigliarsi più di tanto se oggi, agosto regnante, ci dilettiamo di “gràs pistà” e del suo coronamento con il grana “infurmaià”.

S’era alla tavola del Lago Verde con Giancarlo Malacarne a discorrer del più e del meno e anche dei suoi studi e delle sue ricerche, note e meno note, pubblicate e non ancora pubblicate, anche sul maiale come emblema della cultura agricola, e non solo, mantovana. Quando ordinai oltre ai salumi la ciotola di gràs pistà si diffuse nell’aria un primo leggero turbamento. Chisulin e gras pistà an s’è mai vest. Gnocco fritto e grasso pestato non sono così frequenti come combinazione. Convengo. Invece tigella o spicchio di piadina o anche il borlengo con un velo più o meno spesso di gràs pistà sono anche dalle parti in cui ho vissuto per 25 anni una tradizione consolidata. Più l’informaggiata a neve.

L’episodio mi ha colpito e ho invitato l’amico Giancarlo Malacarne a raccontarne i contorni a suo piacere. Mi è arrivato un gustoso quadretto che, autorizzato ovviamente dall’autore, ho il piacere e l’onore di condividere con i lettori della Voce, qui a “Quella volta”.

Già l’incipit di Giancarlo Malacarne è da gourmet.

“<>. Con questo imperativo Fabrizio Binacchi mi invita a mangiare una cosa per me nuova: una soffice tigella tagliata a mezzo come un panino, spalmata all’interno di gras pistà, e poi abbondantemente infurmaiada, ovvero cosparsa di Parmigiano-Reggiano.

Il sospetto è consistente; il dubbio angoscioso: sarà la solita bufala camuffata da stracco e inventato elemento di tipicità, o invece un manicaretto nel quale, nella mia vita, non mi sono mai colpevolmente imbattuto?

Non so come si definisce in lingua il gras pistà e nemmeno lo voglio sapere.

So tuttavia che è un caposaldo della nostra tradizione grassa, così come lo è la tigella (insieme al gnocco fritto) e, non certo ultimo, quel superbo Parmigiano-Reggiano che se incominci a mangiarlo – una due tre, dieci scaglie – non la finisci più tant’è buono.

Ebbene tre elementi paradisiaci intersecati e fusi per dar vita all’incommensurabile, potranno determinare il rifiuto delle fauci agguerrite e del gusto insaziabile e vorace?

Divoro. Calpesto il più lieve ossequio al galateo a tavola, e mi fiondo avidamente su un qualcosa che un ricercatore del gusto quale io sono, ha finalmente fatto proprio (con tanti rimpianti).

Guardo di sottecchi il Binacchi e incontro il suo sguardo compiaciuto: <>.

O si sic omnia!” Firmato Giancarlo Malacarne

Ah, come sono contento! Ho fatto scoprire un sapore nuovo all’esperto degli esperti. Ma non mi voglio pavoneggiare più di tanto. Quel che voglio aggiungere è il commento che a quella tavola ricorreva: “Al gràs pistà l’è mei che an ricostituente”. Il grasso pestato è meglio di un ricostituente, completo di tutto quel che serve per dare energia. Ovviamente parere di appassionati e non di clinici della nutrizione, tuttavia la sensazione è di benessere. E poi è pure buono.

Il fatto che la stagione sia calda non costituisce ostacolo anzi aiuta lo stesso grasso a spalmarsi meglio. Poi il formaggio soffice che cade a neve, che si scioglie a sua volta sulla superficie, che diventa quasi cremolata è da meraviglia anche solo agli occhi. Immaginarsi al palato!

Per la verità dalle parti del Botteghino di Zocca, comune di Pianoro, dove negli anni bolognesi andavo spesso a cercare i sapori della cucina casalinga dei primi colli bolognesi, la tradizione del formaggio grattugiato su tigelle condite e su peperoni scottati è piuttosto diffusa e comune. Probabilmente un valore aggiunto alla pietanza, un completamento di gusto e di sapore. C’è chi una spolverata di grana la mette anche sull’insalata, e non solo di cetrioli.

Il detto “agosto cibi saporiti non vi conosco” dalle nostre parti è spesso infranto. Lietamente scavalcato. Come ricordato si mangia il cotechino a Ferragosto e in certe tradizioni della Bassa c’era, e immagino ci sia tuttora, chi cominciava il pranzo sotto il solleone con una bella scodella di caplèt buient. Magari in bevr’in vin cioè con l’aggiunta di lambrusco. Perché come sottolinea Gianacarlo Malacarne i caplet in brodu i völ buient. Un aneddoto di Albio Longhi, grande giornalista e già collega Rai direttore del Tg1 per ben 3 volte, mi ritorna spesso alla memoria. “I cappelletti in brodo sono talmente buoni che quando vengo nel Mantovano per le ferie estive li mangio belli bollenti, anche con le temperature africane. E non fa niente se sudo!” Fantastico Albino, mantovano nostrano. Perché i sapori dentro e fuori non hanno stagione se ben acconciati e congruamente amministrati.

fabrizio binacchi