Dal Quirinale a Sanremo, l’Italia è tutta un festival

SANREMO – Il pubblico tornato all’Ariston, dopo l’anno triste delle poltrone di velluto vuote, è stato il miglior messaggio per inoculare speranza e serenità, la sfida pop alla pandemia. Giusto che sia arrivato dal Festival di Sanremo, l’ultimo evento che mantiene lo spirito dei primi momenti della tv italiana, quelli in cui ci si trovava dove c’era un televisore. Ad affiancare Amadeus, confermato con pieno merito per la terza edizione consecutiva in veste di presentatore e direttore artistico, una squadra variegata che ha alternato professioniste navigate (Ornella Muti e Sabrina Ferilli), nuove leve (Maria Chiara Giannetta, brava, spigliata e sempre sul pezzo, ha commosso tutti con i suoi “guardiani” non vedenti), aspiranti telepredicatrici progressiste (Lorena Cesarini, finita al centro delle critiche dopo il lungo pippone anti-razzista che ha rischiato il nostro abbiocco) e outsider (Drusilla Foer, la più brillante e spiritosa). A rompere il ghiaccio della 72esima edizione, è stato ancora una volta il fido Fiorello, autodefinitosi “booster dell’intrattenimento”, unico capace di trasformare il Festival in un one man show. Un’esplosione di gioia e improvvisazione: entra con il termometro, prende in giro i complottisti e costringe Amadeus e il direttore di Rai 1 Stefano Coletta a limonarsi per 10 secondi. E il picco di share della prima serata – con il 54,7% la miglior partenza dal 2002 (Baudo toccò il 56,22%) – è coinciso proprio l’esibizione di “Ciuri” delle 21.46: 16 milioni 516mila spettatori. Nella seconda serata spazio alle battute di Checco Zalone, che non risparmiano nessuno: virologi onnipresenti in tv, trans, rapper e femministe. E pazienza se l’accanito plotone del pensiero “politicamente corretto” non ha gradito. Più mobile il parterre degli ospiti “speciali”. Dai Måneskin, in un anno diventati potenti come Pfizer, a Laura Pausini superstar, che da Sanremo ha spiccato il volo, fino a Cesare Cremonini, uno che il Festival lo ha sempre snobbato ma stavolta ha detto sì per promuovere, come dicono le malelingue, il nuovo album La ragazza del futuro, e Marco Mengoni. Rinnovata anche la struttura del concorso: sparita la sezione Nuove proposte (scelta condivisibile visto quanto passato dal convento negli ultimi anni) e nuovo meccanismo di votazione, pur confermando le “tre giurie” (stampa, demoscopica e televoto). Tra gli artisti in gara la vecchia guardia (Iva Zanicchi, Gianni Morandi e Massimo Ranieri, eterni rivali dai tempi di Canzonissima), la “generazione talent” (Giusy Ferreri, Emma e Noemi) e creature “defilippiane” che spopolano sulle piattaforme digitali (Irama, Sangiovanni e Aka 7even). Sugli altri c’è poco da aggiungere. Gli eccessi blasfemi di Achille Lauro, al di là della prevedibile tempesta mediatica scatenata dall’auto-battesimo nella sera d’esordio, sono apparsi la solita trovata per spostare l’attenzione dall’inconsistenza della canzone. Dacci oltre il nostro scandalo quotidiano. Di Mahmood & Blanco che dire: la loro Brividi ha in un giorno fatto più streaming di Sanremo 2021. Una vittoria annunciata e gradita alla Generazione Z, particolarmente sensibile alle sirene della critica mainstream, anche se l’interpretazione di Elisa, che ventun anni fa vinse con la sontuosa Luce (Tramonti a Nord est), era davvero qualcosa di sopraffino. Come la sua voce. Musica per tutti i gusti (un tempo c’era il “pezzo sanremese”, oggi sparito insieme… all’intonazione) dove nella sufficienza generale risulta un toccasana irrinunciabile la serata dedicata alle cover, andata appannaggio dell’eterno Morandi e di Jovanotti, benché l’intensità messa da Fabrizio Moro in Uomini Soli avrebbe meritato miglior sorte. Ritmi da discoteca con Dargen D’Amico e Ditonellapiaga-Rettore, e in riviera tornano i favolosi anni 80. Chissà cos’avrà pensato il ministro Speranza. Fin che c’è Orietta la barca va. E così la Berti, in collegamento insieme a Fabio Rovazzi dal palco galleggiante della Costa Toscana (in sostituzione di quello esterno in piazza Colombo da dove andavano in onda molte trasmissioni Rai), si riprende la scena con outfit eccentrici: dai Legion of Doom al piumino da cipria a fata Turchina nemmeno Arturo Brachetti avrebbe osato tanto. All’Ariston si è visto anche Roberto Saviano, il moralizzatore buono per ogni occasione che vorrebbe istruirci su qualsiasi cosa, invitato per parlare delle stragi di Capaci e via D’Amelio («Ma cosa c’entra Saviano?», era stato il commento dell’autista di Falcone, Giovanni Costanza. Ce lo siamo chiesti in tanti), e il redivivo Peppe Vessicchio, guarito dal Covid a tempo di record. Ovazione per lui. Oltre all’immenso Lucio Dalla, Amadeus ha reso omaggio anche a Franco Battiato e Raffaella Carrà che, purtroppo, l’anno scorso ci hanno lasciato. Ricordo doveroso anche per Monica Vitti e Tito Stagno, il giornalista che in tv raccontò lo sbarco sulla luna. Ma come i parlamentari, che pure con gli spellamenti di mani non si erano risparmiati, anche Ama non ha resistito alla sviolinata in salsa fantozziana al presidente rieletto Sergio Mattarella con tanto di dedica musicale. Roba da fare invidia al megadirettore galattico Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam. Perché in fin dei conti dal Quirinale a Sanremo, l’Italia è tutta un festival.

Matteo Vincenzi