Delirio al Sociale per il live dei Negrita

MANTOVA Dopo i sold out di Arezzo, i Negrita staranno iniziando a prenderci gusto con i teatri senza un singolo posto libero. Appariva proprio così, infatti, il Teatro Sociale ieri: oltre 800 persone che per più di due ore hanno fatto da coro alla voce di Pau  e alle sonorità di Drigo, Mac, Giacomo Rossetti, Guglielmo Ridolfo Gagliano e Cristiano Dalla Pellegrina. Una bella festa, sia per festeggiare il ventennale di “Reset” che per suggellare il profondo legame che unisce la città con i Negrita; un legame consolidato nel tempo e che ieri è stato esaltato dalle reazioni del pubblico. Reazioni sincere, di affetto, complicità ed ammirazione, stimolate da una scaletta piacevole e trascinante, con tanti richiami ai mondi lontani e l’occhio strizzato verso i successi più recenti, senza però disdegnare qualche inaspettata chicca. Perchè, oggettivamente, chi se le poteva aspettare in un solo colpo Malavida en Buenos Aires, Il libro in una mano la bomba nell’altra e Radio Conga, forse i tre pezzi più ruvidi e più diretti di quell’ottimo album che fu Hell Dorado? Altrettanto bello e non scontato è stato anche sentire Il giorno delle verità (da Dannato Vivere), e Greta (da L’uomo sogna di volare); insomma, le scelte fatte da Pau e soci in fatto di scaletta hanno avuto gioco facile nell’incontrare l’appeal dei presenti. Naturalmente, c’era molta attesa per i brani di Reset che sarebbero stati proposti. Provo a difendermi, Fragile, Hollywood, Transalcolico e Mama maé fanno cantare e ballare tutto il Sociale, con qualcuno dei presenti che chiedeva pure che l’album venisse eseguito per intero, uno po’ come Steve Hackett con “Selling England by the Pound” questa estate in piazza Sordello. Ma siccome non si può avere tutto dalla vita, i Negrita hanno voluto lasciare spazio anche ad altri brani del loro repertorio. E hanno fatto particolarmente bene. Ne è uscito, infatti, uno show variegato e travolgente, potenza allo stato puro con la grazia e l’eleganza che esige un contesto come quello teatrale, senza però tralasciare quell’atavica anima rock ‘n roll della band. Con addosso il vestito della festa a tinte blues, le canzoni eseguite al Teatro Sociale hanno restituito all’ascolto dei Negrita maturi, con i loro 25 anni di carriera e quasi altrettanti sulla carta d’identità, ma comunque vogliosi di sperimentare e di scoprire. E allora tornano alla mente le parole di Drigo e quel gene dell’esploratore che si è percepito benissimo: atmosfere morbide e violente al tempo stesso, luci soffuse e scenari fantastici dettati dai ricordi che hanno stimolato i vari brani, tra un applauso e l’altro; un esaltante e conturbante dannato vivere, tanto per sprecare una citazione. Insomma, se si dovesse parafrasare la serata con una strofa, basterebbe affidarsi ad un’altra chicca sfornata da quei bravi ragazzacci, ovvero “Hemingway”: È solo vita che entra dentro/il fuoco che ti brucia il sangue/quella è l’anima/può anche non piacerti il mondo/o forse a lui non piace te. Ma, d’altronde, questa è tutta un’altra storia.

Federico Bonati