Braglia: “Vienimi a prendere ho paura, vogliono farmi male”

MANTOVA Sembrava tutto archiviato o riposto nel novero degli incidenti domestici, ma gravi ombre di sospetto iniziano a insinuarsi riguardo all’incendio che nella notte di venerdì ha devastato la casa di Riccardo Braglia incenerendo due piani di casa in poche ore e ponendo una grave ipoteca sulla persona fisica dello studioso – a tutt’oggi in coma farmacologico al Niguarda di Milano nel reparto dei grandi ustionati. Due distinte testimonianze alludono a minacce subite da Braglia nei giorni immediatamente precedenti il rogo dell’abitazione, e per le quali lui stesso aveva fatto esplicita richiesta di aiuto, sentendosi in uno stato di imminente pericolo.
Per inquadrare la situazione, adesso al vaglio degli inquirenti, occorre risalire a due giorni prima rispetto alla notte dell’incendio. Braglia si trovava ricoverato all’ospedale di Mantova, e da lì ha lanciato un’accorata richiesta di aiuto a un amico che si prestava abitualmente a fargli da autista, dal momento che per problemi fisici da molti anni ormai aveva smesso di guidare veicoli in proprio. E questa richiesta quasi disperata di soccorso è stata segnalata già all’indomani del rogo dall’autista a un consigliere comunale del capoluogo, affinché vagliasse l’ipotesi di segnalarla a sua volta alle forze dell’ordine. Si tratta di un messaggio vocale che riportiamo di séguito integralmente.
«Consigliere, buonasera. Io adesso guardavo su Facebook l’articolo riguardante l’appartamento di Riccardo che ha preso fuoco. Però c’è stata una cosa strana, e adesso ne voglio parlare con te. Lui mi ha chiamato praticamente due giorni fa [presumibilmente il mercoledì, ndr], e mi ha chiesto se lo andavo a prendere alle 3 del pomeriggio al “Carlo Poma” perché mi doveva spiegare una situazione particolare. C’era uno là che gli voleva fare del male. E io ho detto: “Riccardo, che posso fare? Non lo so”. E lui ancora: “Dopo ti chiamo perché ho bisogno di te. Io ho paura. C’è qualcosa che non va”. Al che io ho detto: “Riccardo, non so, se vuoi ti vengo a prendere”. Dopo mi ha chiamato alle 2, visto che alle 3 del pomeriggio ero d’accordo per andarlo a prendere, e mi ha detto: “No no, non ti preoccupare, ho già risolto. Però ti chiamo domenica perché ti devo parlare. Ti devo dire una cosa, ma dobbiamo vederci di persona. È una situazione particolare, ma però io adesso non ti posso dire niente, e poi ti richiamo”. Dopo io non l’ho più sentito, e adesso vedo che gli ha preso a fuoco l’appartamento e lui è grave. Adesso io non voglio supporre niente di che, però quella telefonata che mi ha fatto, e che diceva di essere preoccupato, che mi doveva parlare, che si trovava in una situazione che lo preoccupava per via di una persona “che poi ti devo dire chi è”… Insomma, non lo so: volevo sapere se tu sapevi qualcosa, cosa era successo, se l’incendio è doloso o è un incendio che si è innescato da solo. Adesso, leggendo l’articolo, mi è venuta in mente la telefonata che mi ha fatto».
Vien da sé che il consigliere comunale destinatario di questo messaggio lo ha consigliato di renderne conto alle forze dell’ordine, affinché prendano in esame anche questa possibile inquietante ipotesi del dolo. Ipotesi che si rafforza oltretutto in ragione di una seconda telefonata fatta ancóra da Braglia a un amico di lunga data (che chiede l’anonimato), e anch’essa dello stesso tenore: lo studioso aveva avvertito una situazione di pericolo già alcuni giorni prima del mercoledì. Circostanza segnalata dallo stesso agli organi competenti.
Quanto basta insomma per non trascurare la pista del dolo in una occorrenza troppo sbrigativamente liquidata come incidente domestico. La conferma diretta potrà arrivare, come si spera, allorché Braglia uscirà dal coma farmacologico in cui è tenuto dagli specialisti milanesi del Niguarda.