Negli affidi dei minori non sempre si fanno gli interessi dei bambini

MANTOVA  I bambini non hanno colore politico. I tribunali minorili si occupano di genitori di qualunque estrazione sociale: sia di chi indossa la maglietta nera, sia di chi prepara gratuitamente pastasciutta “antirazzista”. Il fragoroso caso Bibbiano apre la possibilità per riflettere sul sistema generale degli affidi, come ci spiega l’avvocato Loredana Ganzerla, esperto in diritto di famiglia. «Opero la professione forense da oltre quarant’anni e anche nel mantovano si sono verificati casi di allentamento ed affido poi rivelatesi errati».
Ci potrebbe fare qualche esempio?
«C’è stato il caso dove il servizio sociale sosteneva che la madre non vedesse fisicamente il proprio figlio perché gli acquistava vestiti troppo larghi; in realtà la mamma non aveva il denaro per acquistare i vestiti in ragione della crescita, preferendo comperare delle taglie più grandi. In altra circostanza, per la semplice segnalazione di una vicina, sono stati portati via due fratellini poiché i servizi sociali non avevano compreso che l’assenza momentanea della madre era dovuta al ricovero ospedaliero di un altro figlio. In tutti e due i casi sono riuscita a riportarli a casa ma, secondo me, deve essere modificata l’ottica di tutti coloro che operano nell’ambito della giustizia minorile: il filo conduttore non deve sempre essere l’interesse superiore del fanciullo, un concetto astratto ove tutti possono interpretare le normative, ma i diritti dei bambini: diritti già codificati e legislativamente indicati. In primis, il diritto del minore di conservare una relazione significativa con i propri genitori e di vivere nell’ambito della propria famiglia. Si dovrebbe pertanto preventivamente adottare l’allontanamento del genitore abusante o che crea conflittualità, non l’allontanamento del fanciullo. La misura metterebbe al riparo il minore anche da errate sentenze: a Mantova, alcuni bambini strappati alla famiglia, dopo anni passati nello svolgimento dei tre gradi di giudizio, non hanno rivisto il genitore seppure riconosciuto innocente: i minori non ha più fatto ritorno a casa nonostante l’assoluzione, poiché nel frattempo adottati da altre persone, di cui è vietato conoscere le generalità per la loro privacy e tranquillità. In un altro caso, l’allontanamento forzato è dovuto alla segnalazione vendicativa dell’ex convivente della madre».
Tutta “colpa” delle assistenti sociali?
«Ogni allontanamento è previsto da un decreto, da un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Sono i magistrati a disporre l’allontanamento del minore, spiegandone le motivazioni nei loro atti. Le assistenti sociali (ma anche i carabinieri o gli ufficiali giudiziari) non sono altro che gli esecutori materiali degli ordini. Anche se il piccolo si ribellasse durante il trasferimento, una volta firmato il decreto, solo il magistrato, se fosse presente, avrebbe il potere di sospendere il provvedimento con un decreto opposto. Gli assistenti sociali, gli incaricati designati, devono purtroppo eseguire l’ordine ricevuto. Tuttavia negli ultimi trent’anni abbiamo visto un aumento considerevole dei casi di bambini affidati ai servizi sociali, soprattutto minori rimasti anche nella famiglia d’origine, ma da loro gestiti. Il servizio dovrebbe fornire supporto alla genitorialità delle persone in crisi, portandoli alla migliore gestione dei figli, al dialogo. Da semplici figure assistenziali, si sono tuttavia trasformati “in giudici” delle famiglie, come spesso emerge dalle relazioni scritte che consegnano ai magistrati. Gli stessi giudici, fidandosi di questi centri (attrezzati con educatori, assistenti sociali, psicologi), hanno demandato un compito più grande delle loro competenze: chiedono indicazioni anche sull’affido dei bambini. A giudicare l’idoneità delle persone ad educare ed allevare i bambini dovrebbero essere invece soltanto i magistrati i quali, dopo una lettura acritica delle informazioni, dei dati forniti, dovrebbero esprimere la decisione più opportuna»
Quali sono le ricette per sanare questa situazione?
«Si potrebbe finalmente creare un “Tribunale della Famiglia” dove il fulcro rimanesse l’ascolto del minore in tutte le procedure che lo riguardano e dove un bambino fosse libero di esprimere la propria opinione, gestito da personale riconosciuto, fidato e altamente specializzato: un equipe formata da magistrati, avvocati e figure assistenziali preparate”.
Antonia Bersellini Baroni