Eleonora Buratto torna a Mantova con l’Ocm: “Una serata di festa”

MANTOVA Venerdì 21 gennaio, il suo concerto inaugurerà l’anno 2022 di “Tempo d’Orchestra”. Il ritorno attesissimo non più di una promessa ma di una ormai pluriconsacrata certezza.
Il nome di Eleonora Buratto risuona nei maggiori teatri del mondo. Tecnica sopraffina, voce di velluto, una plasticità assoluta nel curvare la linea del canto addosso ad ogni personaggio fino a renderlo vivo, parlante, capace di attraversare lo spazio e raggiungere anche l’ultimo degli ascoltatori, appostato in piccionaia. Donna e primadonna sul palco e sulle copertine, abile con i social, testimonial appassionata di campagne ed iniziative, icona di un glamour prezioso e mai scontato. Per tutte queste ragioni ti aspetti di aver a che fare con la diva ed invece ti ritrovi a che fare con la ragazza della porta accanto: solare, franca, semplice. Se l’agenda trabocca di aerei, prove, recite, le radici non temono scossoni e vivono, salde, in una quotidianità senza fronzoli. La raggiungiamo tra una lavatrice e la pasta da buttare.
Una tappa mantovana, incastrata tra Madrid, Parigi, Roma e New York.
“Sono fiera della mia terra magnifica che non perdo occasione di decantare. La mia Mantova, la città dell’arte, della musica, della bellezza. Ed ancor prima, Sustinente, il mio adorato paese”.
Dove Lei sarà una gloria nazionale…
“Lì la percentuale di miei fan è seconda solo a città come Roma e Milano! Una squadra di irriducibili! Spero, dopo questa serata, che siano in tanti ad aggiungersi”.
Cosa significa per Lei questo concerto?
“Una festa. La gioia di poter condividere una serata di musica, di emozioni, di umanità, doni ancor più preziosi in questo periodo così difficile, insieme ad amici: i professori dell’Orchestra, il Maestro Sesto Quatrini, con cui finalmente posso avere l’onore di collaborare”
Per l’occasione, ha disegnato un filo narrativo che racchiude una galleria di ritratti femminili. Quasi un distillato di una carriera già incredibilmente ricca che da Mozart attraversa il grande repertorio ottocentesco toccando titoli verdiani e pucciniani.
“Sì, è vero. Ho voluto immaginare un percorso che potesse rappresentare alcuni punti salienti del mio percorso. Ci saranno la contessa di Almaviva accanto a Mimì – che ho appena interpretato a Madrid – ma anche l’Amelia di “Un ballo in maschera” e la sventurata Desdemona di “Otello”. E ancora, figure straordinarie come Tosca e Cio Cio San”.
La tragica Butterfly, qui in un assaggio prima del debutto.
“Esattamente, a marzo, al Metropolitan di New York. Un’emozione grandissima. Attendevo da tempo di poter entrare nelle pieghe di questa creatura così metamorfica. Ingenua e verginale nel primo atto, poi sempre più saggia e profonda, madre e sposa dall’incrollabile fiducia nel suo amato, tanto da non saper reggere il disonore del suo abbandono. Una pura. E la vocalità che Puccini chiede ne sottolinea la trasformazione”.
Come a dire che ognuna di queste donne ne contiene mille altre.
“Il lavoro di scavo sul personaggio, la lettura, lo scandaglio introspettivo è un’operazione che non può essere disgiunta dallo studio strettamente tecnico. Ed è un’operazione senza fine”.
Nella serata mantovana, ognuno di questi profili avrà vita brevissima: una manciata di minuti contro le tre ore circa di un’opera. Quale delle due sfide è più complessa?
“Entrambe. Certamente, se in un’intera opera l’interprete ha il tempo di immergersi nell’identità del personaggio, nella vicenda, non ultimo anche grazie alle scene ed ai costumi, in un concerto fatto di tasselli la difficoltà è afferrare subito, senza riferimenti esterni, la cifra emotiva di un racconto già iniziato, calarsi senza mediazioni nel profondo di quell’istante e riportarlo a galla”.
Oggi la musica è tornata a parlare, dopo mesi di pesantissimo silenzio.
“A Madrid, finalmente al pieno della capienza, le recite non hanno avuto un solo biglietto invenduto. Ovunque si respira un bisogno quasi doloroso di musica, di bellezza. Questo tempo ci ha tolto tanto ma ci ha anche insegnato molto. Ad apprezzare la condivisione profonda, a prenderci lo spazio per coltivare maggiormente gli affetti”.
Qual è il Suo augurio per Mantova?
“Qui è nata l’opera. Spero che questa città straordinaria sappia uscire da un’annosa marginalità rispetto al circuito lirico. Non se lo può permettere. La sua storia, la sua ricchezza meritano che anche il teatro d’opera esista, viva, incontri la gente e comunichi valori, messaggi. Il teatro è sin dalle origini il luogo in cui la finzione ispira ed educa, orienta ed illumina. Mantova deve riappropriarsene al più presto. Ed io farò tutto il possibile per contribuire in prima persona”.
Elide Bergamaschi