Donato Carrisi accompagna il pubblico tra i “volti del male”

MANTOVA Viviamo circondati dai “volti del male”. Li troviamo nei podcast, alcuni formidabili come “Indagini” di Stefano Nazzi, “Demoni Urbani” con Francesco Migliaccio o l’ultimo lavoro di Pablo Trincia, “Dove nessuno guarda”, sul caso Elisa Claps. Li troviamo nelle cronache quotidiane, temiamo di imbatterci in essi agli angoli della strada o nelle parti più buie delle città.
Talvolta, i “volti del male” sono dietro la porta accanto alla nostra, tanto che quando il volto rivela il mostro, ci stupiamo e restiamo senza parole. Insomma, i volti del male sono ovunque; ed è importante saperli riconoscere. Perché quel male, quella paura, è come se ci servisse. Non per alimentarci del dolore altrui, ci mancherebbe, ma per conoscere dov’è il limite tra la luce e l’abisso (no, questa figura non è casuale considerando il protagonista di questo articolo), fino a dove possiamo guardare e qual è il punto in cui dobbiamo fuggire. E chi, se non Donato Carrisi, poteva prendere per mano la platea di Mantova e portarla a spasso nel terrore?
Carrisi ha il volto di un uomo buono – e lo è, chiaramente – e la voce è quella di una persona con la quale ci si potrebbe trovare amabilmente a dialogare in treno o in fila alle poste.
Eppure, Donato Carrisi è forse la penna che meglio ha descritto il male e la paura negli ultimi anni, dentro e fuori i confini italiani. “Il suggeritore” gli ha aperto le porte dell’olimpo della luminosa oscurità letteraria, quella degli autori thriller che sanno come mettere paura, poi è stata la volta del ciclo del penitenziere Marcus (se non l’avete letto, recuperatelo), per non parlare di quando Carrisi ha deciso di mettere i brividi con le immagini andando dietro la cinepresa, con i suoi film “La ragazza della nebbia”, “L’uomo del labirinto” e “Io sono l’abisso”, il più recente.
L’apice, però, Carrisi lo ha toccato con il recente “ciclo delle case”: “La casa delle voci”, ovvero un buon motivo per tornare a guardare se ci sia qualcosa o qualcuno sotto al letto o nell’armadio anche da adulti, “La casa senza ricordi” e “La casa delle luci”, con protagonista lo psicologo infantile Pietro Gerber alias l’addormentatore di bambini.
Era difficile quindi per il FestLet trovare un docente e un narratore migliore di Carrisi per entrare nei meandri della paura, per fare la conoscenza di ombre e spettri che pensavamo di non conoscere ma che, realmente, ci accompagnano sin dall’infanzia. Non un elogio del male, ma una presa di consapevolezza di quel sentimento necessario che è la paura. Questo è stato il fil rouge del viaggio carrisiano in terra virgiliana, in cui ognuno ha guardato nel suo abisso personale trovandosi. O, forse, ritrovandosi.
Noi nasciamo con la paura, la venuta al mondo è legata allo spavento, dice Carrisi. Ma lui in che modo ha avuto il suo primo “contatto” con la paura? «La vicenda di un fatto di sangue avvenuto nel mio paese, Martina Franca, è stata trasposta da mia nonna in un racconto. Era la mia favola della buonanotte; e vi chiedete ancora perché scrivo storie di paura?». Battute a parte, il suo incontro con la paura ha il volto di Alfredino Rampi: «La gente era convinta che ci sarebbe stato un immediato lieto fine. Però durante le edizioni in diretta del telegiornale si sentono le sue grida, le grida di paura di un bambino. L’Italia si ferma». L’Italia scopre l’orrore e la narrazione dello spavento. E Carrisi scopre il suo percorso, che è quello di ricondurre gli adulti di oggi alle paure dei bambini che erano ieri. «Cosa c’è di più spaventoso di un colpo di tosse sentito sotto il tuo letto, al buio?». Quel buio che da piccoli ci terrorizzava; forse, continua ancora a farlo. In questo, Donato Carrisi è un traghettatore straordinario. Ne abbiamo avuto la prova ieri sera.