Darwin Day: un focus sulla genetica applicata alla cinofilia

Alessio Camatta, durante l'esposizione al PalaUnical“Superstar a 6 zampe”

Il Darwin Day è una giornata celebrata in onore di Charles Darwin, nato il 12 febbraio 1809.
Questo giorno commemora il contributo di Darwin alla scienza, in particolare alla teoria
dell’evoluzione attraverso la selezione naturale. Molte persone utilizzano l’occasione per
promuovere la scienza, la razionalità e l’educazione scientifica.
La selezione naturale è il processo attraverso il quale le caratteristiche ereditarie che
favoriscono la sopravvivenza e la riproduzione di un individuo tendono ad essere trasmesse
alle generazioni successive in modo maggiore rispetto alle caratteristiche meno
vantaggiose. Questo meccanismo, proposto da Charles Darwin, è fondamentale per la teoria
dell’evoluzione.
La selezione naturale è importante perché spiega come le specie si adattano gradualmente
al loro ambiente nel corso del tempo, dando origine a nuove specie. Rappresenta un
principio chiave nella comprensione della diversità biologica e dell’evoluzione delle forme di
vita sulla Terra.
Questa festività si celebra dunque perché molte persone ritengono che la comprensione
dell’evoluzione sia fondamentale per una visione accurata del mondo naturale e della
diversità della vita sulla Terra. La celebrazione del Darwin Day mira a diffondere la
consapevolezza dell’importanza della scienza e a incoraggiare il pensiero critico.
La genetica gioca un ruolo fondamentale nel contesto dell’evoluzione e della teoria proposta
da Charles Darwin. La selezione naturale agisce sulle variazioni ereditarie presenti nei geni
di una popolazione. Nel corso del tempo, le caratteristiche genetiche che conferiscono
vantaggi adattivi tendono ad aumentare nella frequenza all’interno di una popolazione,
poiché gli individui con tali caratteristiche hanno maggiori probabilità di sopravvivere e
riprodursi.
L’avanzamento della genetica ha consentito una comprensione più approfondita di come le
informazioni ereditarie siano trasmesse attraverso i geni e come le mutazioni genetiche
contribuiscano alla diversità delle specie. Quindi, la genetica fornisce un fondamento
molecolare alla teoria dell’evoluzione, contribuendo a spiegare i meccanismi attraverso i
quali le specie si adattano e cambiano nel corso del tempo.
In virtù di questo dobbiamo anche parlare della selezione artificiale operata dall’uomo nei
contesti di allevamento, sia per quanto riguarda gli animali da reddito ma, cosa che interessa
in questo articolo, anche nell’allevamento dei nostri amati cani.
Nell’ambito dell’allevamento cinofilo, la “selezione” si riferisce generalmente al processo di
scelta mirata degli animali riproduttori in base alle caratteristiche desiderate. Gli allevatori
selezionano cani che possiedono tratti specifici, come temperamento, conformazione fisica,
salute o abilità particolari. L’obiettivo è migliorare o mantenere determinati standard nella
razza canina.
La selezione può contribuire a stabilire e preservare caratteristiche desiderabili, garantendo
che vengano trasmesse alle generazioni successive. Tuttavia, una selezione inappropriata o
eccessiva può portare a problemi genetici. Un attento equilibrio nella selezione è cruciale
per garantire la salute e il benessere degli animali.
La cinofilia moderna, nata approssimativa nell’Inghilterra Vittoriana, è stata spunto per una
crescente consapevolezza e preoccupazione riguardo agli effetti negativi della mancata o
inadeguata selezione nelle razze canine. Alcuni gruppi e organizzazioni si sono impegnati
per promuovere pratiche di allevamento più etiche e sostenibili. La selezione irresponsabile
può portare a problemi genetici, malattie ereditarie e gravi danni sulla salute complessiva dei
cani.
Ci sono sforzi (tra cui questa rubrica) per educare gli allevatori e soprattutto il pubblico
acquirente sulla necessità di bilanciare l’aspetto estetico e comportamentale con la salute e
il benessere degli animali. Tuttavia, la situazione può variare a seconda delle località e delle
caratteristiche culturali di ogni popolo. In generale, c’è una crescente consapevolezza della
necessità di praticare la selezione responsabile nell’allevamento canino.
Per questo motivo, oggi, ho voluto invitare un ospite speciale in questa rubrica.
Vi riporto di seguito l’intervista ad Alessio Camatta, allevatore cinofilo della razza Cane Lupo
Cecoslovacco dal 2011. Nel 2015 fonda il WGI Project (Wolfdog Genetic Indexes Project)
ovvero un progetto collaborativo tra allevatori di Cane Lupo Cecoslovacco che si propone di
sviluppare un software chiamato U-WGI per calcolare indici genetici specifici di razza, come
l’EBV (Estimated Breeding Value). Questo strumento aiuta nell’ottimizzazione
dell’allevamento, considerando aspetti morfologici, riproduttivi e di salute. Il software elabora
piani accoppiamento per migliorare geneticamente specifici tratti e gestisce la parentela
nell’intera popolazione o in piccole realtà allevatoriali. Il progetto coinvolge il Dipartimento di
Biomedicina Applicata dell’Università di Padova.
Ma può bastare con le presentazioni, passiamo dunque al punto:

 

Cosa è il WGI Project?

Il WGI Project è una sinergia di allevatori della razza Cane Lupo Cecoslovacco volta a fornire un forte stimolo evolutivo e innovativo al settore dell’allevamento cinofilo, raccogliendo le istanze del mondo scientifico che da anni ha acceso un faro sulle criticità del settore.

Grazie ad una convenzione con il Dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell’Università di Padova è nato il WGI software, un applicativo professionale dello stesso tipo in uso nella zootecnia da reddito; questo ci sta permettendo di incominciare una rivoluzione nell’approccio selettivo del cane, nel caso specifico il Cane Lupo Cecoslovacco, usando la potenza degli strumenti zootecnici della genetica applicata al servizio della funzionalità biologica del cane, mettendo quindi al primo posto la Salute del cane nel senso più ampio del termine. Per la mission di WGI Project questo è un pilastro fondamentale considerando che la mancanza di piena consapevolezza di alcuni aspetti biologici della selezione, sta portando il cane verso una pericolosa deriva. Seppur lenta ma inesorabile, sta minando proprio nel fondamento il ruolo di animale da affezione che il cane ha assunto nella società moderna dopo millenni si evoluzione simbiotica. Sempre più spesso avere un cane diventa un’esperienza dicotomica tra l’impareggiabile beneficio emotivo che ci regalano e le preoccupazioni provocate da sempre più frequenti problemi di salute che ci portano inevitabilmente a condividerne empaticamente le sofferenze. Pensare che si possano avere solo animali sani è certamente una utopia biologicamente impossibile, ma la condizione del cane è ormai diventato un estremo negativo dimostrato. Uno degli strumenti che stiamo sviluppando e su cui puntiamo molto è un indice genetico sulla Longevità che, attraverso la registrazione delle date di decesso sull’intero database di popolazione e l’applicazione di metodi genetico/statistici, permetterà di individuare il peso dei fattori genetici che influiscono sull’aspettative di vita e, di poter usare questi indicatori anche nella selezione degli accoppiamenti.

Hai fatto riferimento a problematiche dell’allevamento del cane sulle quali la comunità scientifica avrebbe acceso un faro, quali sono?

Mi riferivo alla relazione negativa tra la consanguineità e la Salute. L’accoppiamento tra animali parenti per produrre miglioramenti di caratteristiche di interesse per l’uomo è una pratica utilizzata dalla fine del 700’, e sta alla base del concetto di Razza, sia nei cani come in tutti gli altri animali domestici. Quindi è una pratica che ha degli effetti desiderabili ma anche degli effetti negativi e piuttosto pesanti sulla salute degli animali. Su queste problematiche la comunità scientifica ha, appunto, accesso un faro da decenni. Ma la prima luce su questo fenomeno fu accesa da Charles Darwin. Egli ebbe modo di osservare questi aspetti soprattutto nella sua Inghilterra dell’epoca vittoriana, epoca in cui già da qualche decennio si era cominciato ad allevare gli animali (dapprima ovini, bovini per poi passare a cavalli, suini e cani) in maniera selettiva scegliendo i riproduttori sulla base del vantaggio economico a prescindere dalla loro parentela. Il concetto di razza arrivò come una travolgente rivoluzione anche nell’allevamento cinofilo inglese dell’epoca vittoriana, e partendo da lì, da quei presupposti, oggi al mondo abbiamo quasi 400 razze canine. Charles Darwin ebbe modo di osservare con il suo acume e rigore gli effetti di questo nuovo approccio rivoluzionario fin dai primi decenni della sua diffusione; e già fu in grado di riscontrare che, agli indubbi vantaggi derivanti dal poter modificare velocemente e positivamente le caratteristiche economicamente rilevanti degli animali, erano associati fenomeni che ne deprimevano la funzionalità biologica. Questo fenomeno venne poi definitivamente codificato dai successivi studi di genetica come DEPRESSIONE DA CONSANGUINEITA’.

È curioso ma soprattutto affascinante come Darwin dopo aver fatto le sue prime osservazioni sugli animali, spostò la sua riflessione sul suo stesso matrimonio! Uno studio scientifico, proprio sulla genealogia di Darwin (“Was the Darwin/Wedgwood dynasty adversely affected by consanguinity?” Berra et al., 2010), ha confermato come la sua famiglia fosse esempio vivente della teoria da lui sviluppata secondo cui la consanguineità può influire negativamente sulla salute e la funzionalità biologica. Charles Darwin era sposato con la sua prima cugina Emma Wedgwood, ebbero 10 figli ma tre morirono prima dei 10 anni, due per malattie infettive. E tre dei sei bambini sopravvissuti con matrimoni a lungo termine non hanno prodotto alcuna prole. L’analisi di Berra ha mostrato un’associazione positiva tra la mortalità infantile e il coefficiente di consanguineità per i figli di Charles Darwin e altri nelle famiglie Darwin/Wedgwood, suggerendo che la corrispondenza di tratti genetici dannosi dei genitori parenti abbiano potuto influenzare la salute della prole. Iniziò a preoccuparsi degli effetti della consanguineità sulla sua stessa famiglia dopo la morte di sua figlia, Annie, di tubercolosi all’età di dieci anni, la seconda dei suoi figli a morire giovane.

Mi sembra di capire che il WGI project nasca anche per una mancanza di soluzioni a questo problema, è corretto?

Certamente. Nella zootecnia dell’allevamento degli animali da reddito la gestione della consanguineità è un perno fondamentale attorno al quale girano e si relazionano tutti gli altri aspetti della selezione. Questo perché gli effetti della DEPRESSIONE DA CONSANGUINEITA’ hanno un influenza negativa sulla resa economica, pertanto fu imperativo per quei settori individuare i giusti compromessi tra gli effetti positivi e negativi del fenomeno.
Quindi le soluzioni esistono e hanno quasi mezzo secolo di esperienza positiva alle spalle, il problema è che c’è un rifiuto nel  mondo cinofilo a evolvere e ristrutturarsi per poter applicare queste esperienze al primario bisogno del cane come animale da affezione: la SALUTE e la funzionalità biologica, che appunto hanno una relazione negativa con gli incrementi di consanguineità.
Gli enti preposti stanno reagendo a mio avviso timidamente e insufficientemente al problema. ENCI ha solo l’anno scorso pubblicato un articolo sul suo periodico sulla relazione negativa tra salute e consanguineità e attuato una norma che impedisce di iscrivere al Libro Origine cuccioli nati da accoppiamenti tra parenti stretti. Sicuramente lodevole come primo passo, sebbene piuttosto tardivo, ma rimane una risposta insufficiente al problema. I livelli di consanguineità che si riscontrano nei cani di razza sono ormai tali che anche due cani apparentemente non parenti possono produrre prole consanguinea con livelli critici. Premettendo che la relazione tra valori di consanguineità e problematiche sono specifici di specie e di razza, voglio portare come banale e grossolano esempio che:

– i fenomeni riscontrati nella genealogia di Darwin erano associati ad un livello di consanguineità di 6,3% a fronte di un accoppiamento tra primi cugini.
– secondo la stimata genetista Ostrander, specializzata nella genetica del cane, i livelli di consanguineità nel cane dovrebbero assestarsi tra il 5 e il 10% per essere sostenibili.
– In zootecnia da reddito si considera il 10% come soglia di allarme rosso.
– Nella razza di cui mi occupo un accoppiamento senza antenati comuni per 4-5 generazioni (apparentemente non parenti) producono una prole con un livello di consanguineità non inferiore al 20%. Mediamente gli accoppiamenti con parentele moderate possono arrivare anche a range tra il 25% e il 30%
– il caso del Cane Lupo Cecoslovacco non è isolato, anzi è piuttosto la norma, ma ci sono non poche razze con livelli di consanguineità anche sensibilmente maggiori.

Ritengo sia superfluo aggiungere altro, questo problema ha dimostrazioni solidissime a livello scientifico, eppure per la maggior parte degli allevatori cinofili continua ad essere un aspetto secondario rispetto alle esposizioni di bellezza e varie prove di razza, che sono ad oggi il criterio principale di selezione, come lo erano in epoca vittoriana quando sono nate le moderne razze canine.

Il WGI Project è già in grado di fornire risposte al problema?
Sicuramente parlare di una risposta completa alle problematiche della selezione del cane è alquanto prematuro, ma sicuramente rientra nei nostri obiettivi. Nello specifico del problema della consanguineità invece si, abbiamo strumenti tecnici appropriati, nonché scientificamente validati (BMC Genomics, 2018), per la gestione della parentela nella razza Cane Lupo Cecoslovacco. Questo vuol dire che possiamo fare stima della consanguineità per tutti gli ipotetici accoppiamenti possibili nella popolazione, e attraverso algoritmi di analisi individuare quelli più proficui alla gestione del problema. Senza entrare nei tecnicismi, un aspetto importante della gestione su base scientifica del problema è quello che è fondamentale la collaborazione tra allevatori. Non è possibile gestire la consanguineità come singoli accoppiamenti ma è necessaria una visione per gruppi di animali o popolazione. Essendo gli allevamenti cinofili molto piccoli numericamente, la collaborazione è quindi fondamentale per approcciare questo tema. In questo senso è per noi sicuramente motivo di orgoglio il fatto di aver creato una sinergia di allevatori che collaborano per un fine comune, in un ambiente dove prevale la competizione.

 

Lo staff del Centro Cinofilo “Corte Tosoni”